febbraio 27, 2007

E' un paese per vecchi


L'ultimo libro di Cormac MacCarthy l'ho letto tutto d'un fiato.
In questi ultimi anni il Dubbio di vivere in un paese di vecchi si è lentamente diradato. Ora sono convinta che questo è un paese per vecchi. La costante delle società arcaiche (pre-industriali, primitive) è di essere governate da anziani. Sono la memoria storica del gruppo, possiedono la saggezza e guidano con mano tranquilla e serena gli altri.
Ma io non sono governata da anziani. Io sono governata da vecchi. Vi è la costanza denigrativa d'apparire giovane quando non lo si è per nulla. E aggiungo nulla c'è di peggio del quarantenne che fa il gggiovane. Nulla c'è di più triste della cinquantenne rifatta senza innocenza e vitalità. Sono circondata da questi macabri esempi.
Un dato: io vado in giro sui mezzi pubblici e non vedo i gggiovani. Incontro per lo più anziani signori e vecchie signore acciaccate. Malati. Soli. Non accompagnati. Oppure i gggiovani incontrati sono extracomunitari.
E noto che la disgrazia d'essere governata da vecchi a cui poco importa dei loro coetanei ammalati e soli, (perchè estranei a quel genere di vita essendo gli stessi sostanziali ricchi e perciò lontani dai moduli esistenziali di comuni mortali), riguarda in massima parte dal vero dato anagrafico interiore: NON sono anziani quelli che mi governano. Non sono saggi, non sono sereni, non sono tranquilli. Non hanno accettato il fatto che moriranno a breve. Non ne vogliono sapere di cambiare. Perché per loro tutto rimane come prima. Vivono di paura. E la paura è la vera dimensione del vecchio. Mentre il fatalismo fa parte della dimensione dell'anziano. Saggiamente.
La riflessione si potrebbe allargare all'argomento familia. Ebbene la famiglia che io vedo NON è quella di prima, dove si viveva tutti insieme in una grande casa: nonni, zii e zie, fratelli e sorelle, figli e figlie. E' proprio cambiata l'anagrafe della famiglia (uno o due persone, oppure più persone senza legami di sangue). Se ne si faccia una ragione.
Mi vengono a parlare di scollamento dalla realtà. Per quanto mi riguarda io vado alla radice del problema. I vecchi che mi governano non sono legati alla mia realtà. Perché sono ricchi. Quindi è inutile che mi si parli di un presunto collegamento della mia realtà con la loro.
I cambiamenti a cui tutti noi siamo sottoposti sono molto ma molto veloci, non ci stiamo dietro. Men che meno i vecchi. Forse gli anziani lo sanno fare, ma i vecchi no. Non capiscono. Se io fossi governata da una Rita Levi Montalcini sarei lieta e felice. Ma essere governata da questi vecchi m'angoscia assai. Capito che la vita media sia d'ottantanni e che quindi la lunghissima adolescenza
copra l'arco di un trentennio, e si giunga ai quarantanni senza futuro e progetto. Ma in Italia si sta esagerando.
Se devo continuare a pelare patate che sia chiaro che il mestiere manuale non lo posso fare fino alla fine dei miei giorni, la fatica fisica NON è per vecchi e neanche per anziani. La manualità è faticosa. Ha bisogno di precisione e velocità. La degenerazione delle cellule porta in sè la lentezza e connatura le difficoltà dei cinque sensi.
Sto guardando sempre più spesso il mio passaporto. Ho bisogno di poche sicurezze, di uno stato sociale che della mia vecchiaia si preoccupi. A me sembra che le spire del nulla mi stiano avvolgendo. Che sia chiaro: le mie ambascie sono di natura egoistica: che cazzo di futuro sto dando a mia figlia? cosa le sto lasciando?
Io voglio essere una bell'anziana. Non una brutta vecchia. E questa nazione mi sta prospettando solo una brutta vecchiaia.

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febbraio 14, 2007

La Piccolacuoca fa la spiega di storia. Ottava lezione: Pavlova


1926. Perth. Australia. Berth Sachse la vide scivolare sul palco con delle scarpette con la punta rinforzata che non aveva mai visto una cosa così. Sentì un piccolo ohh da parte del pubblico. Lui stesso rimase a guardare le calzature per parecchio tempo. Era fragile ed eterea ed un applauso d'ammirato fervore esplose. Lei chinò la testa ringraziandoli e sorridendo senza superbia. Danzò quasi sempre sulle punte, sollevandosi con facilità e precisione. Bianca ed nuvolosa si muoveva scivolando e lui non aveva mai visto nessuno pattinare senza pattini ma lei Anna Pavlova ci riusciva a dare quell'impressione e lui e tutto il pubblico ne rimase letteralmente folgorato. Il pubblico taceva mentre eseguiva la parte del cigno musicata da Camille Saint-Saëns, completamente rapito da quella minuscola e aggraziata figura che sul palco ondeggiava e cadeva e si rialzava per poi accasciarsi per sempre. Mentre giaceva rattrappita ogni tanto fremeva che stava morendo ed era tutto talmente realistico con quel cigno la cui vita se ne stava andando tra mille piume bianche che a tutti vennero le lacrime agli occhi che la morte era così, che arrivava e strappava la vita e nulla poteva lo splendido animale e l'eterea ballerina. Infine la figura giacque immobile a terra. I riflettori si spensero e si accesero le luci in sala ma il silenzio perdurò. Nessuno fiatava, parevano avvolti tutti nel dormiveglia con il sogno che faticava ad andarsene. E poi gli australiani si svegliarono e si alzarono sperticandosi le mani e urlando brava e bis.
Berth rimase seduto. Gli mancava quasi il respiro e lo sapeva che negli anni quell'esperienza l'avrebbe rincorso nei suoi sogni e nei suoi incubi. Se lo sentiva dentro. Quella minuscola e aggraziata donna gli aveva illuminato la vita interiore.
Uscì dal teatro con un senso di malinconia e tristezza e dolore e quasi si sarebbe messo a piangere e l'avrebbe fatto se non fosse che si chiese se poteva lui povero pasticcere conoscere Anna Pavlova. Sapeva che soggiornava nell'albergo dove lavorava, il migliore di Perth, Hotel Esplanade.
Nei giorni seguenti infatti la vide passeggiare nel giardino dell'albergo e soggiornare nell hall e la seguì con gli occhi di un innamorato, la guardava muoversi e rimase conmpletamente soggiogato dall'aurea di magia che Anna Pavlova emanava. Era piccolissima, sottile, magrissima. Una bambolina. Non aveva quasi neanche una ruga seppure nel pieno della mezza età e mangiava tanto e chiaccherava tanto e rideva tanto. Aveva una voce profonda. Adorava i dolci e ne era assai golosa e lui s'adoperò come un'ossesso nel prepararle torte, pasticcini, bignè, frutte glassate e cioccolatini. Anna Pavlova andava vestita prevalentemente di bianco e aveva dei gran scialli ricchissimi di perle e chiffon che l'avvolgevano. Si sapeva che stava ore e ore a esercitarsi e a provare la stessa movenza. Ore.
Berth nelle cucine stava ugualmente ore e ore a fare lo stesso. A prepararle meravigliose leccornie che sapeva lei avrebbe apprezzato ed era felice solo del fatto che tutto quello che lui faceva lei l'avrebbe mangiato ridendo. Lui sarebbe entrato in lei. Ed era felice come mai prima d'allora.
Poi Anna Pavlova partì e lasciò l'Australia per rientrare in Europa. Se ne andò e Berth cadde in una sorta di depressione e lavorò svogliato per molto tempo e quando guardava nella hall gli sembrava di risentire la sua risata bassa e dolce.
Cinque anni
dopo a gennaio in pieno inverno australiano sul giornale apparve la notizia che Anna Pavlova era morta per una polmonite. Berth lesse e scoppiò a piangere. E quella notte la sognò mentre moriva sussultando squassata dai colpi di tosse, sul palco tra mille piume bianche, mentre un rivolo di sangue le cadeva dalla bocca esangue. La mattina dopo asciugandosi gli occhi tormentato dal suo ricordo, andò al lavoro ed entrò in pasticceria con l'idea di preparare un dolce tutto bianco, duro come dovevano essere le punte delle sue scarpine da ballo che tanto avevano colpito l'immaginario di tutti, ma morbido come lo erano le sue movenze, bianco come le piume del cigno morente e pannoso come la sua eterea lucentezza, con una macchia di colore rosso come la malattia che l'aveva stroncata.
Poi gli venne in mente la meringa e la fece e la rifece ma era troppo dura e allora dopo altri tentativi aggiunse dell'aceto che avrebbe di sicuro virato le proprietà chimiche dell'albume. E riprovò ancora la cottura e alla fine la sua ricetta fatta di tre albumi, 250 gr. di zucchero, un pizzico di sale, due cucchiaini di aceto, un cucchiaino di estratto di vaniglia e un cucchiaino di amido di mais, quindi la fece montare fermissima tanto da divenir lucida. Le diede la forma di torta con alti bordi. La mise in forno a cottura molto bassa a 150 gradi per 90 minuti e poi la tirò fuori. Capovolse la fragile meringa, dura all'esterno ma morbida all'interno, e la lasciò raffreddare. Montò tantissima panna con cui riempì la torta raffreddata e sopra vi appoggiò fragoline di bosco e lamponi ricroprendo la panna in modo che l'acido dei frutti di bosco richiamasse l'acidità del dolore che sempre la morte provoca. Rimase a guardare a lungo il dolce e poi le diede il nome che non era capace di chiamarla Anna. Per Berth Sachse lei era un sogno mortale chiamato Pavlova.

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febbraio 12, 2007

Il giorno libero che non è un sabato italiano


A me capita sempre di essere libera, nel senso che sto a casa a cazzeggiare il lunedì...e di lunedì stanno chiusi per la maggior parte: parrucchieri, ristoranti e vari luoghi ameni. Mi piacciono i grandi magazzini (su tutti: Harrods a Londra, a Tokyo Loft). Ah certo il centro commerciale. Ma non ne ho di vicini.
I mercati m'hanno sempre emozionato. Ma i mercati quelli belli a Milano li fanno di martedì.
Il centro commerciale al lunedì m'ha sempre angosciato e a tratti stravolto (di stanchezza). Al lunedì il centro commerciale è sempre VUOTO. E' infinitamente vuoto. Enorme. Brutto. La musichetta trasmessa è demente. Non si sono vecchiette sperse tra gli scaffali. Solo i commessi. Con lo sguardo fisso. Ma non è uno sguardo fisso nel profondo. No. Fisso nel vuoto. Quindi io torno a casa contenta che il centro commerciale m'ha angosciato e son felice di ritornare il giorno dopo nella mia calda e affaticante cucina.
Non ci sono mai andata di sabato, pare che il centro commerciale sia pieno e affollato. Lì non mi prenderebbe l'angoscia, ma la malinconia. Questione d'emozioni diverse.
Capisco perciò Matteo Bordone. Lo capisco perché aver studiato cose strane (Lingue Orientali) a me comporta l'allontanamento dai moduli espressivi massificati. Detta così fa molto sborona. Di fatto significa che quando si parla degli argomenti da bar il mio cervello si blocca ed entra in modalità socievolezza salottiera. Sparo cazzate sul mondo, banalizzo argomenti di non facile digestione (la morte, la fame, la guerra e l'ho buttata lì a cazzo), generalizzo comportamenti distinti. Pare che faccia socievolezza e simpatia e quindi accettazione del/nel gruppo (potrei definirlo cameolentismo d'accettazione sociale).
Esempio: banalizzo, l'intellettuale vive nella torre eburnea e contempla gli altri dall'alto della lettura dei suoi milioni di libri e dell'ascolto dei suoi milioni di CD e della visione dei suoi film in bianco e nero. Se guarda telefilm americani già fa cultura pop, ma credo sia giusto che si guardi telefilm con ottime sceneggiature almeno s'impara come si scrive una bella e cazzuta scenggiatura. Mica si vive così fuori dal mondo.
Diciamo che Bordone mi sta assai simpatico e che al suo posto sarei stata di molto più snob e stronza. E pertanto ha giocato alla grande il suo ruolo.
Uno dei motivi percui amo il mio lavoro è che pelare patate e stare in cucina t'allontana dalla televisione. Non la guardo e quando la guardo noto l'equazione: 5 o 6 individui messi davanti a una telecamera uguale a cazzata banale in arrivo. Puoi essere la persona più intelligente dell'universo e dentro nella scatolina appari cretino. Subito. Non ho ben capito il meccanismo. Che sia la telecamera?
Metteteci poi la star televisiva che sta vicino alla ggente, ed è (sfiga) seduta accanto a te, e dice che tu intellettualone non sei di sinistra (sic!), che le masse non le capisci (maddai!). E qui a me scatta la risatona. Vero le masse io non le comprendo (e c'ho pure letto 'Massa e potere' di Elias Canetti) e la massaia io non la capisco. Ci converso piacevolmente e amabilmente perché in comune con lei ho un bel database di ricette. Ah sì la malattia, la morte e tutte quelle cose lì. Se proprio vogliamo fare un bel discorso profondo si parte da lì per arrivare al desiderio e al cibo. E' per questo che la televisione non la guardo. Una volta mi faceva incazzare. Adesso non la guardo più. E non mi sembra bello chiedere alla massaia: ma la morte? quante persone care le sono morte? che la faccio stare male, 'ché con l'angoscia io ci convivo benissimo, ma lo so che la massaia per niente e potrebbe iniziare a piangere e confidare la miserevolezza della sua intera vita.
Preferisco andare a mangiare in un ristorante e leggere un menù e farmi un bel pensierone su come sono costruiti i piatti.
Ho sempre pensato che invecchiare dovesse essere: fai SOLO le cose che ti piacciono, perché sai cosa ti piace. e non perdi più tempo dietro alle cazzate. Andare nel centro commerciale non mi piace, guardare la tele non mi piace.
Stare in cucina mi piace, cucinare mi piace e osservare l'umanità (meglio dire i clienti) mi piace...Sto invecchiando. Me lo sento. A me 'sta storia di invecchiare dirò: mi piace.

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febbraio 07, 2007

Gold 3


Qui si sta svolgendo un dibattito divertente. Già ne avevo scritto qui e qui.
Ora questo è un paese libero (falso) dove tutti possono scrivere quello che vogliono (dipende). I giornali sono liberi (falso) e e i giornalisti lo stesso (falso). Vado a spiegare l'assunto.
Se un giornale dipende in parte dalla pubblicità capiti che s'abbia un occhio di riguardo per l'inserzionista. Che se è particolarmente egocentrico fa il bello e cattivo tempo. Capita che se l'inserzionista vuol far conoscere un suo nuovo prodotto informi attraverso appositi canali il giornalista che ne farà un redazionale, dove guarda caso non se ne parla in modo malvagio. E dove per inciso i più scafati potrebbero intravedervi della pubblicità occulta del prodotto stesso.
E' solo per questo che i bloggers appaiono più liberi. NON sono pagati, NON hanno pubblicità all'interno (molti ormai sì mi si obietterà) e comunque molti non lo sono liberi, ugualmente, perché il clan a cui si appartiene ha proprie regole e costumi. MA in alcuni casi si è liberi di pensare e scrivere quel che si vuole. Perché si è a casa propria. E uno dice e scrive quello che pensa. Ci tenta almeno.
Capita che venga abbastanza naturale scrivere soprattutto male. Potrei definirla come: la Kritika. A tratti coinvolgente perché costruttiva, il più delle volte è negativa per partito preso. E aggiungo: esiste lo scontento-persona che non ha ben capito dove vive e vorrebbe essere altrove. Ma non è capace di rivoluzionare la propria vita perché troppa pigrizia l'avvolge e fa fatica a pensare in modo positivo. Perché altrimento non sarebbe scontento-persona. Di mestiere fa il kritiko e scrive.
Ora molti sanno che scrivere sempre male di tutto non fa bene all'anima. La mancanza di entusiasmo e di incomparabile infelice cinismo avvolge ogni scritto. Vale per tutti i campi, sia ben chiaro.
Ma il nostro campo quello dell'enogastronomia si basa sul detto de gustibus non disbutandum. E' tutto così personalizzato e individualizzato che come umano ho qualche problema ad affrontare il percorso mnemonico e neurologico di ciascun kritiko. (Già l'enologo mi appare più serio a livello di preparazione tecnica). Poi si aggiunga la difficile situazione dove si è amici di amici, e le invidie e le gelosie personali e non se ne esce e basta.
Ma se qualche kritiko mi parlasse in modo scientifico delle tipologie del gusto e delle variazioni che sul piatto si vanno apportando davvero per me sarebbe gran cosa.
(si sapesse: Il sistema gustativo è capace di discriminare quattro tipologie di gusto: dolce, amaro, salato, aspro. Ognuno di queste tipologie ha una via di trasduzione del segnale che schematicamente può essere riportata a due tipologie principali: recettori legati a proteine G e canali ionici di membrana. Dalla stimolazione della cellula si ottiene un potenziale di recettore che stimola l'ingresso di ioni Calcio nella cellula determinando la liberazione di neurotrasmettitori a livello basale e la genesi di un potenziale d'azione nelle fibre afferenti.
Per il salato la via di trasduzione corrisponde all'ingresso di sodio in canali del sodio sensibili all'amiloride. Questo provoca depolarizzazione della cellula che scarica. Nell'aspro ci sono invece due vie possibili: un primo meccanismo consiste nel blocco di canali ionici apicali del potassio da parte di ioni idrogeno con conseguente depolarizzazione, normalmente il potassio dovrebbe uscire attraverso quest'ultimi per via del gradiente creato dalla sodio-potassio ATPasi,. L'altro meccanismo potrebbe essere il blocco da parte degli ioni idrogeno di canali, sempre apicali, del sodio. Il gusto amaro viene trasdotto secondo almeno tre vie possibili. Nella prima, sostanze come la chinina determinano blocco dei canali apicali del potassio. Un secondo meccanismo sembra essere legato ad un particolare proteina G detta Gustducina, la quale attiva una fosfodiesterasi che fa diminuire le concentrazioni intracellulari di cAMP e cGMP. Il terzo consiste sempre nell'attivazione di una proteina G la quale attiva una fosfolipasi C che fa aumentare la concentrazione di IP3 che determina liberazione di ioni calcio dai depositi intracellulari depolarizzando la cellula. Il gusto del dolce, infine, ha due meccanismi tutti dipendenti dall'attivazione di proteine G. Nel primo abbiamo una situazione analoga al gusto amaro: si ha aumento della concetrazione di IP3 con ciò che ne consegue. Nel secondo meccanismo, la proteina G attiva l'adenilato ciclasi, facendo aumentare il cAMP. Questo a sua volta determina la fosforilazione di canali al potassio apicali con depolarizzazione cellulare).
E mi si spieghi bene la differenza chimica tra una cotoletta cotta nel burro chiarificato (detto ghia in India e facendolo andare a una temperatura di 60 gradi si preleva la caseina e quindi si ha il burro chiarificato), nel burro normale, nell'olio extravergine, nell'olio d'oliva, nello strutto e forse dopo queste quattro prove di gusto uno capisce la differenza. Non sono polemica con il commento della signora Baresani. Ma va tanto di moda il burro chiarificato che potrei aprire un approfondo dibattito (noooildibattitonooo) sul fatto che vi sono ottimi burri NON chiarificati. (Di per certo so che molti chef NON seguono questa moda, aggiungo che gli occidentali gli enzimi per digerire la caseina ce li hanno in genere, mentre gli indiani in generalia hanno serie allergie ai latticini, magari molti di noi lo usano perché il punto di fumo è più alto e per una questione di food-cost). E si potrebbe anche aggiungere: dipende dall'olio extravergine, dall'olio di semi e dallo strutto. Sempre se uno non fuma, non beve superalcolici (che danneggiano le papille gustative) e conduce una vita abbastanza sana e lontano dall'inquinamenti che inficiano il setto nasale e gli odori in genere. Il resto? Impressioni. Emozioni.
Poi che D&G abbiano tolto la pubblicità al Sole24, dopo l'articolo della signora Baresani... 'Sta storia ha fatto il giro della bloggosfera (piccolissima). Ma D&G si sa di QUANTI soldi abbiano privato l'apporto al Sole24 (si parla di euris 300.000)? ora magari non son gran cosa, ma a casa mia sono un botto di soldi. Un monolocale grande. Per dire. Lo so che il Sole24 può farne a meno ma sta di fatto che poi è apparso l'articolo di Paolini. Dopo. Non prima. Marchette? No. Ma sorge il dubbio. Quello sì. La signora Baresani ha perso il contratto di collaborazione (o l'assunzione non so) con il Sole24? Chiedo. Non so.
Tutti a dire quanto son stronzi D&G.
Masonraagazzi!

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febbraio 06, 2007

Huston we've had a problem here


A guardarsi in giro di problemi ce ne sono. Tanti.
1) Muoiono come funghetti per andare dietro un pallone. (S)traparlano di guerra ma in realtà la guerra vera sta su un altro pianeta
Lanciamoci in una spericolata analisi sociologica del cazzo: ci sono fasce enormi di persone che non lavorano, che non costruiscono, che non pensano, che non fanno. Quelle persone non facendo non sono, sono fuori dalla produzione delle merci ma usufruiscono delle merci, e per esserCI devono fare altro. Finiscono che fanno casino. Così come in tutte le storie di negazione corteggiano la morte. E si cercano un nemico. Altrimenti la dicotomia tra buono e cattivo salta, e succede che il nemico lo trovano subito.Tanti hanno la straordinaria capacità di ragionare in bianco e nero.
Ribadisco l'idea che io non mi sento reponsabile dei continui casini attorno agli stadi. A me il calcio piace, ma così mi fa abbastanza schifo. Se chiudono gli stadi per un anno e saltano le partite, a me non dispiacerebbe per nulla. (Mi sovviene un dubbio: come e dove finirebbero tutti gli ultras a fare casino?). Ma ci sono troppi soldi in ballo. E se i soldi scorrono al posto del sangue è chiaro che gli stadi non verranno chiusi e che le partite non si giocheranno a porte chiuse. Lo sponsor che fa? e non sono l'unica a pensarlo, mi sembra che qui si dica la stessa cosa.
2) C'è una guerra vera che si combatte in Iraq. Qualcuno ne sa veramente qualcosa?
Avendo letto 'La banalità del male' io sospendo il giudizio sull'impiccaggione di Saddam. Mi chiedo comunque se non fosse stata meglio una classica impiccaggione pubblica su pubblica piazza. Tanto per tornare indietro nel tempo. Che non mi sembra di appartenere al nuovo millennio. Anzi.
3) In genere donne molto belle sposano uomini molto ricchi (bruttini, ma citando Saffo: è bello ciò che s'ama) che diventano poi ancora più ricchi, finiscono che firmano dei contrattini. Si sa che i matrimoni lunghi si basano su tanta indulgenza e tanta tolleranza (da ambo le parti sia chiaro) soprattutto riguardo i tradimenti (in generalia maschili perché vengono subito beccati). Si sa invecchiando si peggiora. Le donne belle diventano ancor più orgogliose, maniacali, dogmatiche e intolleranti. Finiscono a pensare che è meglio stare da sole che male accompagnate. L'orgoglio chiede pubbliche scuse rispetto alle mille corne che in privato bisogna portare.
Si sa le corna pesano. E in genere imbruttiscono. Bisogna essere delle VERE signore per saperle indossare bene. E' una questione di classe e di politica. E non di stile. Quello NON c'entra un cazzo, davvero. Perché la classe non è acqua ed è innata. Lo stile: basta leggere un paio di riviste di moda e se si è abbastanza scafate s'intuisce subito cos'è. Se ventanni fa quell'uomo non aveva classe e lei pensava allo stile, allora è lampante che trentanni dopo l'ignoranza della terminologia viene a galla. Il tempo è molto denaro. Non avendo classe lo stile va e viene. Non ci sono cadute, ci sono solo ondeggiamenti. Noi siamo per questo nuovo gioco di società.
Non si entra in merito alle scelte di letture sbagliate banalizzando un ottimo titolo di un brutto libro. Se ci avesse detto che leggeva Madame Flaubert o Le relazioni pericolose noi qui saremmo state più tranquille. Ma in fondo lo sapevamo che Greta Garbo era solo una bella attrice, la cui ingnoranza infittì il debole senso di sè.
Comunque a me il mondo dei ricchi appare lontano e sfuggente. Appartengo al gruppo: i panni sporchi si lavano in famiglia (famigliari e amici al massimo). Mica siamo negli USA che si lavano in pubblico. Chiedere pubbliche scuse non so. Dopo s'innescano straordinari meccanismi di identificazione da parte delle massaie. E nulla c'è di meno comune tra una massaia e un'ex-attrice. Poi che sia divenuta massaia ella pure...si potrebbe notare che alla lunga la maschera indossata diventa la stessa faccia.
4) Si lavora troppo e si fanno gente e si vedono cose. La vita scorre lenta e inesorabile e ci si emoziona a molto poco. Ma per stanchezza. Una figlia di 15 anni la si ascolta con infinito rimpianto per la sua straordinaria innocenza nel vedere il mondo in modo limpido e preciso. A furia di sfornare piatti e vedere cose si finisce che se ne perde la visione illuminata. E si finisce a chiedersi se dare cibo sia una aspirazione alla benevolenza e una sublimazione alla memoria. Mi scontro spesso con i miei simili sulla smemoratezza. Sul fatto di vivere in una specie di corte di Versailles dove l'arguzia, la superficialità e la pochezza di argomentazioni esistenziali siano divenuti i termini reali di conversazione. Che la cultura non conta. E poi stanno tutti a parlare di valori. Ecco io qui aprirei profondo e durissimo dibattito.
Cosa sono i valori? Quali? Dove?
Credo in cose molto materiali. Credo nel fare. Credo nel cibo. Credo negli affetti quotidiani e nalla precarietà. Ma non saprei dire se siano VALORI. Credo nell'essere sebbene non lo conosca per nulla. Per dire.

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