dicembre 31, 2005

la piccolacuoca fa la spiega di storia. Seconda lezione: la maionese


Proseguo il seminario di storia del cibo: le mie spieghe sono molto scientifiche e vi pregherei di non interrompermi. La seconda lezione riguarda la nascita della maionese. La salsa. Poiché gli intingoli, le salse e i fondi agli umani e in particolare agli chef piacciono molto, comprendiamo tutti l'enorme importanza di questa salsa madre di tutte le salse.
1756. Port Mahon, capitale di Minorca, isola appartenente all'arcipelago delle Baleari. Guerra dei Sette anni tra francesi e inglesi. Assedio francese comandato da Armand de la Porte, duca di Richelieu (non il cardinale, un altro). Ovvio che l'assedio andava avanti da un paio di mesi, ma gli inglesi notoriamente tosti non s'arrendevano. Anzi. Duri e puri combattevano e morivano, ma non si arrendevano. (Per inciso si sarebbero arresi nel maggio dello stesso anno e l'anno seguente il comandante e ammiraglio della guarnigione inglese John Byng sarebbe stato condannato e ucciso in patria come traditore. Si sa gli inglesi sono duri e puri. Arrendersi non fa parte del loro vocabolario prediletto). Ogni qualvolta si accendevano dei fuochi in campo, moriva qualche francese perché gli inglesi sparavano precisi e bombardavano fieri dato che non prendevano troppo bene il fatto che i francesi li facessero morire di fame ed intanto questi gozzovigliavano felici e contenti. Insomma la guerra è guerra e bisogna patire la fame. Su entrambi i fronti e da entrambi i lati.
Armand il duca non si capacitava che il proprio chef Alain (tecnicamente bravissimo ma umanamente una merda, un genio tra i fornelli ma una schiappa fuori dalle cucine) non gli preparasse più manicharetti, intingoli e cacciagioni imbottite da altre cacciagioni. Alain lo chef era supremamente orgoglioso e assolutamente conosciuto per un suo piatto divino: la pernice ripiena di tordo, ripieno a sua volta di quaglia, in crosta bagnato da un intingolo di sua invenzione a detta di tutti sublime. Armand il duca ordinò una pietanza che si potesse mangiare fredda ma che fosse altresì buona e non le solite frutte secche con vini annacquati e armagnac che sapevano di tappo. Armand il duca era un francese buongustaio, un vero gourmet e proprio non si capacitava benchè sotto assedio che non potesse continuare a mangiare bene, par bleau. Anche perchè era lui l'assediante e non l'assediato. L'ordine perenterio quindi fu: non si possono usare i fuochi. Alain lo chef venne colto da sconforto, ma non si diede per vinto. Come si diceva lui era l'assediante e non l'assediato. Andò in dispensa e scoprì con orrore che vi erano rimasti solo una bottiglia d'olio d'oliva, un paio d' uova e tre limoni. Venne sopraffatto dalla disperazione ma siccome Alain lo chef di fondo era un genio ci pensò su e tra le lacrime prese i tre limoni, le due uova e la bottiglia d'olio. Spaccò le uova, tenne i tuorli, li versò in una terrina di rame, acchiappò una frusta e cominciò a sbatterli con furia facendo scendere un filo d'olio d'oliva extravergine delicatamente fruttato dal retrogusto maturo e dolce e il succo di limone. La frusta girava verticosamente e la salsa si montò in un batter d'occhio. Alain lo chef l'assaggiò, l'aggiustò di sale e di pepe e decise che non era poi così male, schifo non faceva ma comunque non era sublime come la sua pernice ripiena. Si fece portare una triglia appena pescata, la squamò, la spinò e la tagliò a fette sottili sottili che decorò con la salsa appena creata. Armand il duca apprezzò assai questa nuova pietanza e decise di denominarla Alain. Ma Alain lo chef si oppose e dichiarò che la salsa sarebbe stata nominata Mahonnese, perchè in cuor suo era convinto di aver fatto una cazzata e che mai nessuno se ne sarebbe ricordato e che lui stesso non voleva essere rimembrato attraverso le future generazioni per aver inventato tale immensa cazzata. Alain lo chef voleva passare alla storia come un genio dei fornelli, voleva essere ricordato per la pernice ripiena di tordo ripieno a sua volta di quaglia, il suo piatto prediletto. E invece di questo piatto nessuno si ricorda, dell'inventore della maionese nessuno ne sa niente ma della maionese sì, soprattutto la Kraft.

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dicembre 24, 2005

alle facce amiche ma anche no

(illustrazione Massimo Giacon)
E' banale ma anche no. A tutte le facce amiche ma anche no. Ad un nuovo millennio che questo qui mica mi piace tanto.

dicembre 23, 2005

Imbarazzante. Ha un suo perché


Il linguaggio è sempre in divenire. L'uso dell'avverbio imbarazzante è in genere improprio e fuori luogo. Ma è una parola molto in voga. Direi di moda. Imbarazzante notare che delle posate straordinarie vengano appoggiate su della cartaccia. E' imbarazzante che il giudizio di un piatto venga dato da una banda di deragliati mentali al limite dell'anoressia/bulimia che ovvio te lo stroncano. Poi che due ore dopo ti comunicano che quello stesso piatto ha vinto un primo premio su tutto un altro pianeta. Ecco: ha un suo perché. Che è un'altra frase MOLTO in voga e che molto si usa. Io credo negli universi paralleli. Credo che esistono dimensioni altre, dove i perché non sono i miei e i miei perché di certo non appartengono a quell'universo lì. E' imbarazzante che all'età di 45 anni io scopra che le donne che hanno uno strano rapporto con il cibo abbiano poi anche uno strano rapporto con il sesso. Come se la ricerca del piacere sia impostata su file ben precisi. Non avere quei file corrisponde alla mancanza di naturalezza e di naturalità. Da chiedersi perché Levi-Strauss nell'Amazzonia non abbia mai incontrato un anoressico o un bulimico. Insomma la nostra ricca contemporaneità si sta staccando dalla sussistenza e sta creando nuove malattie mostruose di cui ancora non abbiamo strumenti e medicine adatte. E non credo che ci sia da usare l'avverbio imbarazzante. Si avesse fame perché non c'è nulla da mangiare allora si mangerebbe TUTTO e si direbbe che è buonissimo, natura e non cemento. Dall'altra parte del mondo è così. C'è una parte di mondo che crepa di fame. VERA. Questo dramma ha un suo perché. Il superfluo mi annichilisce. E gettare il cibo è uno strazio di cuore che non ha un suo perché e che identicamente non definirei imbarazzante. Quindi non auguro a nessuno Buon Natale. Un Buon Natale è quello passato in mezzo a qualcuno che ha sul serio bisogno di nutrirsi. Avrebbe un suo perché e non sarebbe per niente imbarazzante.

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dicembre 21, 2005

concept-stores & chefs


Gli chef stanno nelle cucine e fanno da mangiare. In verità non è sempre così come pochi ben sanno. Alcuni chef fanno le consulenze per aprire i ristoranti, e quindi: pensano a un business plan, mettono in piedi una brigada, trovano i fornitori, cercano un menù per un target preciso, costruiscono i piatti, li standardizzano, pensano a una mise en place coerente con il design del tavolo, della sedia, del design, dell'ambiente, formare le persone...insomma avviano il locale...per alcuni chef il lavoro NON è solo cucinare e cuocere pietanze, il lavoro è di spettro molto ampio.
Il concept-store è un negozio che ha dentro: mobili, complementi d'arredo, piatti e bicchieri, tovagliato, profumi e saponi, cibi e bevande, mutande e scarpe, vestiti e cappelli, borse e guinzagli, bar e ristorante. Rarissimi sono i concept-store con una forte e dinamica impronta estetica. In genere è un'accozzaglia di robe messe giù senza capo nè coda.
A aumentare questa tragedia nei concept-store, di cibo e di bevande POCHISSIMO si capisce. Molti ideatori di concept store hanno un rapporto innaturale con il cibo: tengono conto SOLO della forma e mangiano POCHI cibi. Nessuno di loro è realmente autenticamente onnivoro. Soprattutto nessuno di loro è un vero gourmet men che meno un buongustaio. Purtroppo il cibo è soprattutto contenuto. Molti pensano di essere geniali e di poter tutto. Non si capisce se di arroganza o di superficialità si tratti. Molti chef si scontrano con il mondo del concept-store. Finisce che lo chef si scazza subito. Per questioni di papille gustative. Per questioni estetiche. Per questioni di gestione economica. Sono due mondi distanti, diversi e distinti. Si aggiunga il deleterio fatto che in tutti i concept-store del mondo si mangia MALE. Ma se parlate con il geniale proprietario del concept store lì dentro si fa food design e si mangia benissimo! Per dire: un calice (martini, flute, vino bianco, vino rosso, cognac) contiene ghiaccio e viene usato per una questione di conduzione di calore (della serie il calice non scioglie il ghiaccio) quando invece appunto per una questione di forma il calice è un bicchiere che premia la distinzione tra il mondo del bere del ricco rispetto a quello del povero e di rado si vede il ghiaccio nelle coppe e nei flute. E per una questione di forma bisogna vedere bene il liquido (CARISSIMO) che vi si beve. E nel calice non si mette il ghiaccio.
Alcuni chef fanno marchette. Lavorare nei concept-store è e rimane per uno chef una marchetta. Il geniale proprietario del concept-store ragione con il cuore pensando forse di far soldi mentre lo chef ragiona con la testa pensando di far fare i soldi. E tra cuore e testa non scatta mai l'amore. Perché le due persone sono distanti, diverse e distinte. E' raro che tra cliente e puttana scatti un grande amore. E su quei rari casi addirittura ci fanno dei film. Per dire.

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dicembre 15, 2005

il raduno

sono stata al raduno, e ho mangiato benissimo perché Nicola Cavallaro (lapepeira, Milano e qui trovate foto e menù, rifatevi gli occhi e fatevi l'acquolina in bocca) è uno cheffone che pare essere sottovalutato. Giustappunto come Anthony Genovese...sti cheffoni fanno bella e buona cucina creativa italiana che le guide poco cagano. Ma le guide parlano d'altro e noi cheffi ci muoviamo lungo diverse strade.
Tutti quelli che scrivono di cibo sono monotematici, si sa, è un club con un suo gergo. Questo club però ha una bella e consistente presenza femminile e a tutte le mie compagne di percorso porgo profondi ringraziamenti perchè per le cheffe il mondo a tratti è distante, ci sentiamo diverse e operiamo nella sapiente coscienza della distinzione.
Va ringraziato anche Massimo Peperosso per aver aggregato una simpatica banda. Quindi il Cuore non è mai solo e semplicemente una frattaglia. La Cuoca petulante non è per nulla perniciosa, il Tocco di zenzero ci sta sempre bene e il Cavoletto fa sempre la sua porca figura.
Un po' i raduni mi stanno sul cazzo, ma devo dire che il mio snobismo fine a se stesso messo in tale compagnia diventa allegramente socievole.
Sì è stato bello. Lo rifacciamo?

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dicembre 07, 2005

sumochef: prima puntata


Lo chef giappo dell'hotel di Kyoto pare un lottatore di sumo, sorride sempre e sembra il Buddha di Kamakura. Mi ha portato al mercato di Kyoto e mi ha spiegato verdure strane, pesci mai visti e metodi di cottura particolari. Sumochef è un grande chef ma accade spesso all'estero che la cucina francese faccia danni e a lui ha rovinato il gusto della cucina occidentale. Quella sana. Quella buona. Insomma la nostra cucina. Devo perciò insegnargli a cucinare all`italiana. Un'autentica sfida.
Sumochef è dotato di gran senso dell`umorismo e ci facciamo delle sane risate e per mia fortuna gli sto simpatica. Gli ho spiegato il grande uso delle erbe aromatiche nella cucina italiana facendogli l'esempio banale e molto conosciuto (e così di moda all'estero) del pesto, consigliandogli ovvia parsimonia d'aglio. L`idea del pestaggio gli è molto piaciuto. Ma ho notato che è un'idea che prende tutti, non solo i cuochi. Sembra che il mortaio e il pestello siano una specie di pugilato dove si può sfogare la violenza interiore. Il basilico in Giappone costa una follia. O meglio le erbe aromatiche in genere costano una follia (dal prezzemolo al basilico...costi assurdi!). Trovare un contadino giapponese che non stia in risaia e abbia una serra dove coltivi erbe aromatiche pare già un'impresa di suo...perché qui prima di arrivare sul mercato le erbe vengono coltivate, raccolte, tagliate nella stessa identica misura, lavate ramo per ramo, asciugate una per una, lucidate foglia per foglia, impacchettate a minuscoli mazzetti. Il prezzo finale di una foglia di basilico è uguale a 100 gr. di parmigiano stagionato 3 anni.
Sumochef quando ha saputo il costo del basilico in Italia ha sgranato l'occhione, si è stravaccato sulla sedia e ha borbottato una serie di punti esclamativi. Tutti molto grandi. Come lui. Quando io ho saputo il costo del mazzetto impacchettato di basilico ho tirato in ballo Marx e il marketing, ho maledetto il packging e ho sbraitato contro il ladrocinio legalizzato.
Non ho avuto cuore di dirgli che in alcuni mercati gli odori a volte li regalano. Concetto base da chiarire: NON nei mercati di Milano dove il costo del mazzo di basilico è simile a quello giapponese. Strana 'sta cosa.

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dicembre 03, 2005

2006. Roma. Puntarelle.


Scusate il black out ma sono andata a Roma dopo tanto. 8 anni credo. Poi faccio i conti meglio e no sono molti di più. Il tempo passa che a confronto il pendolino va piano e di fatti rispetto allo Shinkansen va pianissimo ed è subito sera meglio dire morte. Nel senso che già mi vedo canuta e a Roma ci devo tornare più spesso. Perché è la città più bella del mondo. E non è un modo di dire. Mentre rientravo in albergo la sera tardi (l'una) mi sono trovata per caso davanti alla Fontana di Trevi. Giuro per caso. Mi sono guardata attorno e l'ho rivista: lei Anitona. Non c'era quasi nessuno e gridava "Marcello vieni" e vuoi che Marcello se ne stia fermo come un coglione? ovvio che si butta pure lui. In effetti la Fontana e la sua vasca sono piccole. Un luogo intimo. Farci il bagno in due è perfetto. Una vasca per due.
Sono andata a mangiare in posti BUONI. Dicono di Anthony Genovese che è bravo. Il suo ristorante "Il pagliaccio" in via dei Banchi Vecchi 129/a (tel. 06.68809595) è un ottimo ristorante con dei prezzi ridicoli rispetto a quelli di Milano. A Milano per mangiare come si mangia da Anthony si spende il doppio e si mangia da culo. Anthony è Bravo e Marion la pasticcera è Sublime. Aggiungo che è sottovalutato. Aggiungo che io ci sono stata da Cracco3stelle. Bho. Forse potremmo aprire un discorso sulle emulsioni e sulle sifonate e sui gusti e sulle stelle. Ho l'impressione che ci stiamo facendo grandi menate e pippe. Se metto 10 brave cuoche/cuochi senza limiti di budget e di soldi e di banche e di e di...credo che da tutti uscirebbero belle idee. L'importanza è soprattutto saper scrivere bene i menù. L'importanza è capire la provenienza dei prodotti. La vera conoscenza sta per me nella sperimentazione e identificazione. Io sperimento e alla fine arrivo a creare un prodotto che avvolge tutta la lingua nelle varie parti sensoriali delle papille gustative (CHIMICA ragazzi CHIMICA). Poi ricerco prodotti di varie regioni d'Italia e li accosto e li identifico nella memoria storica della regionalità (che tutti gli italiani nel bene e male hanno)
Ringrazio per la bella e simpatica tavolata Frattaglia e Cavoletto, le ringrazio perché c'è sempre da imparare e io in questo periodo mi sono intrippata nelle mitiche puntarelle. Ebbene Frattaglia mi ha fatto una bella ed esclusiva lezione sulla puntarella che potete trovare
qui. Devo imparare a farle. Le adoro. Le ho mangiate. Da nordica con verdure anacquate dico che le puntarelle che ho mangiato erano buone. Non strepitose certo. Ma comunque BUONE. Adoro i carciofi fritti alla giudia. L'abbacchio e il maritozzo e milioni di altri piatti che solo a Roma si trovano. Un po' dicono si è sprovincializzata (ma è mai stata provincia Roma?). Capisco come sia diventata la città del cinema (il Cinema vero, mica Hollywood). E capisco pure Rome caput mundi del nostro Occidente, nell'immaginario collettivo ha fatto la Storia e pure studiando il latino intuisci che i romani avevano già scritto tutto perché avevano capito tutto. Roma con la sua luce, i suoi pini, le sue antiche pietre, le fontane e le chiese... poi torni indietro e ti sembra tutto tristarello. E le puntarelle a Milano col cazzo che le trovi BUONE.

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