aprile 26, 2006

Tipologia di cliente: signorone


Con questo secondo capitolo proseguo la sezione dedicata alla catalogazione del cliente che viene identificato per come arriva, dove si siede e cosa mangia.
Metti una città grande, colma di metropolitane, una città di finanza, una città della finanza e ci metti dentro un po' di gente e poi via via cominci a vederla 'sta gente e diventano subito dei personaggi e devi dare loro da mangiare e diventano d'un colpo clienti.
Iniziamo: il cliente signorone (sesso maschile)
Al tavolo d'angolo del ristorante già l'aspettano i suoi collaboratori che intanto si sono levati la giacca gessata e stanno tutti in manica di camicia e con le tiracche scure. Un po' di pancia tutti, che di abitudine sono sempre seduti, e hanno passato i quaranta e non sono splendidi quarantenni questi, sono stanchi e avvizziti, eppure hanno denti bianchi sfavvillanti. Tirano fuori il portasigari e lo appoggiano sul tavolo che sanno che non possono fumare ma è giusto per far vedere che fumano il sigaro. I camerieri si stanno già spaventando. Il sigaro nel linguaggio maschile è come la pistola. Metti tu una pistola sul tavolo. Guai solo guai. Iniziano pertanto un'attività frenetica intorno al tavolo non richiesta. In un batter d'occhio portano acqua, pane e anche il portacenere, poi lo ritirano che nei locali non si può fumare, ma intanto la mossa l'hanno fatta per far capire che loro il permesso glielo darebbero pure, ma si sa com'è la legge. Impedisce di fare una qualsiasi vera voglia da vero maschio. Avvisano nervosamente la brigata in cucina che i signori sono arrivati. La cheffa tranquilla alza il sopracciglio e continua a fare la linea che tanto anche se sono arrivati i signori a lei non cambia nulla. Clienti sono e clienti rimangono. Arriva lui. Non trafelato, ma passo veloce e svelto. In genere alto, pelato, con la pappagorgia e la pancetta, lo sguardo vigile squalesco quanto basta. Si alzano tutti e gli battono sulla spalla, ridenti e felici. Insomma quasi amici. Poi si risiedono e pure lui inizia a levarsi la giacca, a mettere il portasigari sul tavolo, a rimboccarsi le maniche di camicia che fa tanto gesto da vero lavoratore. Comincia a parlare in un silenzio religioso. Parla di azioni, di levazioni, di borsa e borsette, di banche e di banchieri, di piani di fusione e di...il cameriere porta il menù ma lui con la mano grassoccia fa cenno di no che lui vuole solo un antipastino veloce. Il cameriere lo guarda interdetto. Allora con fare saputo signorone ordina:
Mi chiami lo chef, con i 64 denti bianchi ben in vista sorride agli altri che assentono sempre e continuano a ad accarezzare il portasigari
Signore non c'è più, abbiamo una cuoca, quasi un singulto
Una donna? supremo stupore. Si rivolge allibito agli altri che corrugano subito la fronte e adesso tutti guardano il cameriere come se fosse una sgradevolezza impegnativa
Ecco sì, il cameriere inizia a tremare
Me la faccia vedere, comanda alzando la mano grassoccia
Il cameriere corre trafelato in cucina ordina con voce stentorea: il signore ti vuole vedere
Perché? la cheffa lo osserva con sospetto
Vieni fuori subito e piantala di rompere i coglioni, risponde il cameriere livido a bassa voce e a denti stretti
La cheffa inalbera un sorriso falsissimo ed esce voleggiando tra i tavoli e si avvicina e vedendo la marea di sigari buttati sul tavolo ha un momento di stupore per quel selvaggio esibizionismo ma si trattiene e decide di continuare a sorridere.
Buongiorno a tutti voi, posso aiutarvi? consigliarvi? inclina deliziosamente il collo con fare po' faceto e femminile, che lo sa da sempre che con una banda di maschioni bisogna essere carine e dolci.
Lui: E' lei che cucina?
Beata risponde: Sì, metto a volte anche il veleno, ma non si preoccupi non ne morirà di certo, sta per sbattere adiritture le ciglia e a stento si trattiene.
Sorride adesso in modo sincero, si sta divertendo e lo fa intendere con malizia e crudeltà
Tutti scoppiano a ridere e incredibile lui sghignazza.
Ahahah simpatica, una cuoca simpatica, voglio un antipistino veloce, riesce a farmelo?
Ci tenterò ma se non le piace lo lasci e me lo rimandi indietro, risponde la cheffa quasiquasi languida
Ci può giurare che se non mi piace lo rimando indietro e neanche glielo pago, sghignazza lui e guarda gli altri che immediatamente prorompono in alte risatone.
Signorone e cheffa si traffiggono sempre sorridendo comprendendo che sono entrati diretti nell'arena del massacro.
La cheffa facendo finta di essere lieta rientra in cucina, odiandolo di tutto cuore imbastisce un antipastino (inoinoino, un piatto con milioni di calorie buttate con somma precisione ed estremo garbo estetico) con accanto una piccola insalata nizzarda scomposta.
Lui sbrana il tutto con pochissima eleganza e richiama il cameriere.
Mi richiami la cuoca
Un flashback per la cheffa che ritorna in sala sorridendo allegra (ma ha il kalashnikov in mano e la tanica di benza nell'altra) e si avvicina la tavolo dove i piatti sono tutti vuoti, loro stanno in panciolle accarezzanti il sigaro e il signorone ha in mano il bicchiere di acqua (vino a pranzo mai che bisogna stare lucidi sempre) con cui beve e accenna con lo stesso al piatto sottostante:
Era buono, quindi lei sa far da mangiare
La cheffa inclina deliziosamente la testolina
Oh che gentile!!! la ringrazio, sa mi ha insegnato mia nonna!!!! falsissima con vocina dolcissima
Lui adesso annuisce soddisfatto:
Mi pareva, si vede e si sente, altri sapori quando cucina una donna.
Vuole un dolce preparato dalle mie manine d'oro? (ti uccido qui e subito)
Lui ride inorgogliosito dalla sfacciataggine della cheffa
Cosa mi dà?
(una frustata sul tuo culone) Una crostata di mele, la ricetta è sempre della mia nonna, sorridendo ammiccante
Gli altri lo guardano sorpresi e invidiosi da questo subitaneo attacco di simpatia da parte del signorone per la cheffa, perché notoriamente è conosciuto per essere uno stronzo fatto e finito. Quasiquasi a questo tavolo e in questo ristorante signorone sembra un umano. La cheffa si rivolge agli altri pezzenti e li guarda dolcemente: volete anche voi una fetta?
Tutti prontamente accettano.
Mangiata la torta in un nanosecondo (che lui non mangia: spazzola e divora, aspira ed evapora) signorone tronfio finito il pranzo si alza e si avvicina alla cheffa che lo saluta e gli porge in un momento di totale e assoluta assenza d'emozione con grazia la mano. Gliela stringe virilmente e lui si guarda la mano sorpreso, sembrava tanto fragile e invece cazzo forse è lesbica.
Signorone lascia una generosa mancia e si ripropone di passare con la moglie e prenota il tavolo per la sera dopo, così la moglie gli saprà dire se la cuoca (mica è uno chef, ha imparato dalla nonna questa qui!) è lesbica o no, perché bravissima a carpire i segreti delle altre e a suggerire comportamenti da seguire in eventuali futuri incontri. La moglie è brava a capire tutto l'esterno. L'amante invece tutto il suo interno. Peccato che non si possa avere tutto nella stessa casa, pensa infastidito signorone. Il mondo è solo un rapporto di forza e bisogna stare dove la forza è precisamente bilanciata nel punto proprio.
La cheffa sorride dolce e continua a stringere magnanimamente la mano a tutti gli altri e li saluta con spregevole amorevolezza, mentre se ne vanno li sente sussurrare: brava, proprio brava.
Sempre sorridendo la cheffa si dirige in cucina: A uccidervi tutti sì.

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aprile 25, 2006

La cucina italiana e le sue identità


Dovessi spiegare della cucina italiana a uno alieno gli spiegherei dell'Italia, di questa fascia di terra in mezzo al mare, ma non gli direi della sua forma ma parlerei delle valli e del mare e degli odori e delle coste a strapiombo sui tanti litorali. Gli spiegherei che abbiamo avuto tante invasioni, ma per un po' siamo stati uniti e c'è stata una grande cucina. Quella romana. L'antica cucina romana. Semplice e puzzolente con il garum. Ma buona. Ma di quella si è persa un po' le tracce. Perché la Storia è passata e il mondo è diventato piccolo e le terre coltivate hanno tutte le stesse semenze perché il gusto degli umani si sta lentamente unificando e un giorno tutti mangeremo uguale. E continuerei spiegando la cucina delle corti e con calma attraverserei i secoli. Parlerei della fame e della divisione tra nord e sud, della differenza e della diversità con tutte le altre cucine. E poi gli direi delle regioni italiane che son tante e ognuno con un proprio dialetto e una propria tavola e poi gli spiegherei dell'industria agroalimentare e...di sicuro sarei interrotta in questo lungo excursus dall'alieno:
sì ma voi in quanto italiani cosa mangiate?
ecco quello lo puoi trovare fuori dall'Italia, nel senso che siamo famosi per la pizza e gli spaghetti, però adesso sta cambiando. I grandi chef ci stanno copiando tutti (e partirei con una pugnetta tra il vittimista e l'infelice spiegando che : prendi Ducasse e la sua cucina? ebbene ha eliminato il burro e usa l'olio d'oliva e il sale grosso roba nostra per dire, Gordon Ramsey stessa storia, l'agnello con il pomodoro), ma comuqnue abbiamo alcuni chef bravi in Italia e fanno cucina del territorio e tentano di andare oltre lo spaghetto e il...
sì va bbè ma voi gli spaghetti in Italia li mangiate sì o no?
sì certo che li mangiamo e se li metto nel menù li vendo sempre
ma allora è o non è cucina italiana? mica è cinese!
Guarda che gli spaghi li hanno inventati i cinesi e se vai in giro per le case delle persone ti accorgi che ogni regione mangia diverso e anche l'olio è diverso e il vino e le paste e i sughi e le carni...Dovessi consigliarti allora vai nei ristoranti italiani all'estero e a volte mangi meglio che qui in Italia. Un certo tipo di ristorante ovvio, prova e vai a mangiare da Gaia a Hong Kong, al Vabene a Shanghai, prova lo Splendido a Osaka, a New York un po' è diverso, ma lì devi andare da Cipriani e magari ti va bene...la vecchia emigrazione è molto diversa da quella nuova.
?...
Sì adesso i cuochi che vanno via dall'Italia sono cuochi veri, mica poveracci in cerca di fortuna. E poi anche i prodotti arrivano subito dall'Italia, sai la globalizzazione, 10 ore di frigo, le celle, gli aerei, insomma la freschezza della mozzarella di bufala la puoi trovare anche a Sidney.
?...
sì la cucina italiana la posso fare anche fuori dall'Italia
?....
si la globalizzasione, la cucina italiana si è globalizzata
allora esiste!
cosa?
la cucina italiana!
ecco, magari sì, esiste ma meglio dire che esiste una cucina regionale italiana. Quella italiana esiste all'estero. Esiste una cucina fusion italiana (nord e sud fusi insieme) ecco quella esiste. E' la cucina ideale, il cibo ideale. E' il frico con il guanciale oppure il pesto con il basilico napoletano...quella cucina esiste. In Italia no. Esiste la cucina del territorio, la cucina della propria regione. Allora la cucina italiana quella generale la trovi fuori dall'Italia perché è come ci vogliamo vedere. E' quel sogno lì. Agli stranieri piace pensarci uniti. Diventerebbero pazzi se sapessero di quanto siamo litigiosi, dei mille campanilismi, delle mille corporazioni. A loro piace pensare che siamo pomodori e mozzarella, prosciutto crudo e melone, basilico e pesto.
?...
E' la nostra cucina migliore, perchè vedi noi italiani abbiamo problemi d'identità. Un italiano si sente italiano solo quando si siede a tavola, mangia e allora sogna. E allo straniero piace quel sogno lì.
E all'alieno brillerà il nervo ottico: Ah ho capito! l'italiano diventa una persona con un'identità nazionale solo quando mangia. Sogna di avere un grande nazione. Il migliore paese del mondo dove si mangia meglio di tutti. Il Belpaese.
Appunto sogna. Capisci?
L'alieno scuoterà la testa. Con cosmica saggezza.

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aprile 22, 2006

Basta! adesso ti metti lì e peli 100 kg. di patate

PdC quanti anni hai? Hai passato i sessanta? com'è che quando si diventa anziani si regredisce? o almeno com'è che il fenomeno capita sempre a quelli come te?
Basta! davvero con sta storia dei voti e della vittoria rubata. Basta. Adesso ti si mette lì nell'angolo, lo vedi quel mucchio lì? sono 100 kg. di patate. Prendi quel pelapatate lì appeso, bravo quello lì, e per favore pela tutte le patate. No??!! lo fai e basta. Altrimenti?
Ecco lo vedi quell'ombrellone lì?
Ecco Altan lo sta suggerendo cosa ti capita se non peli i 100 kg. di patate. Mentre peli patate cominci a pensare. Se sei capace di farlo ovvio. Pensare implica un'azione dove i neuroni si mettono in moto e cominciano a mettersi in riga (nooo, non quelle righe lì!). Cominciano ad analizzare, confrontare e dubitare (in primis su di sè: l'autocritica, presente?).
(ringraziamo Altan di esistere dotato di tanto enorme dono di sintesi)

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aprile 19, 2006

La piccolacuoca fa la spiega di storia. Quarta lezione: il tiramisù

Proseguo il seminario di storia del cibo: le mie spieghe sono molto scientifiche e vi pregherei di non interrompermi. La quarta lezione riguarda un dolce che ha travalicato i confini del BelPaese, sconfinando in tutti i quattro angoli del mondo e si trova i tutti i menù di tutti i ritoranti italiani all'estero: il tiramisù.
1673. Toscana. Lasciarono la corte di Firenze in tarda mattinata e giunsero a Siena in serata. Margherita d'Orleans, una francesina vispa e allegra, colta e vivace, sposata da una decina d'anni assai infelicemente a un trombone d'omo bigotto e asociale che portava il nome di Cosimo III, scese dalla carrozza annoiata e insoddisfatta. Cosimo III il Granduca scese dall'altra carrozza infelice e sbronzo. Del resto l'asociale non si divertiva mai e lei lo osservò con somma aria di sprezzo. Attorno come sempre si affollarono volenterosi e poco affacendati i cortigiani senesi. Margherita la Granduchessa sospirò ormai giunta alla piena consapevolezza che l'odio per la Toscana la stava consumando. Doveva andarsene. Doveva tornare in patria a casa sua in Francia. La Toscana le appariva ogni giorno di più gretta e meschina piena di preti, avidi e infingardi, e ovunque la Chiesa che spradoneggiava e tesseva intrighi su intrighi. Nessuno che leggesse o sapesse parlare bene il francese. Nessuno che sapesse qualcosa delle ultime teorie di Galileo, nessuno che...la lunga lamentela interiore si bloccò al suono della voce starnazzante del marito ubriaco
Oh 'he non si mangia nulla??
Margherita la Granduchessa levò gli occhi al cielo. Alzò la candida mano e si presentò subitaneo ai suoi occhi il cuoco Gualtiero, veneziano della Repubblica Serenissima. Un genio tra i fornelli ma un essere infido e pericoloso fuori dalle cucine, pronto a sparlare male di tutto e tutti, essendo egli capace solo di tessere lodi su di sè e del suo meraviglioso operato. Margherita la Granduchessa lo guardò e gli ordinò bisbigliando: preparagli qualcosa che lo metta a tacere. Il cuoco Gualtiero felice di accontentare tanto fine spirito si mise all'opera. Del resto entrambi si sentivano due esseri superiori emarginati dalla corte volgare e bassa.
Prese la bastardella di rame, si fece portare uova, lo zucchero bianco, la marsala più fine e si mise all'opera. Fece accendere i fuochi e lentamente preparò la salsa su cui stava lavorando da settimane. Uova, zucchero e marsala sbattute tenacemente nella bastardella di rame posta sul fuoco lentamente si montarono fino a raggiungere un colore giallo delicato tendente all'avorio. Mise la salsa in una fine porcellana scaldata e vi appoggiò sei savoiardi (che nella testa del cuoco Gualtiero andavano divisi tra moglie e marito)
Cosimo III il Granduca intinse i savoiardi nella salsa, divorò il dessert con voracità e con altrettanta poca educazione non ne offrì alla moglie. La mattina dopo Margherita la Granduchessa convocò il cuoco Gualtiero che subito si scusò del fatto che il marito non le avesse fatto assaggiare la salsa ma aggiunse che lui l'aveva pensata che...e venne bruscamente interrotto e gli venne comandato la stessa salsa, che Margherita la Granduchessa s'era incuriosita più che dell'aspetto della salsa, dal fatto che i savoiardi dovevano essere intinti nella stessa. Quando poi l'assaggiò, ne divenne particolarmente golosa.
Anni dopo Cosimo III il Granduca spedì il cuoco Gualtiero alla moglie che abitava ormai in Francia nella speranza vana che ella rientrasse a Firenze. Successe che il cuoco Gualtiero si stabilisse alla corte di Margherita la Granduchessa e egli pure non fece più ritorno in patria. La Francia gli stava dando molta più notorietà e tranquillità. Del resto la salsa ormai era divenuta famosa con il nome di Zuppa del Duca e nella Repubblica Serenissima la chiamavano Zabajon, veniva servita ben fredda e al posto dei savoiardi mettevano i baicoli e comunque il cuoco Gualtiero era ben fiero di aver dato origine a tanta moda gastronomica. Gli giunse addirittura voce che le cortigiane della Serenissima chiamassero lo Zabajon tiramisù e intrattenessero i clienti raccontando aneddoti fantastici sulle proprietà afrodisiache del tiramisù, che gli uomini han bisogno di sicurezze soprattutto di quella sicurezza lì. Il cuoco Gualtiero si fece grasse risate con Margherita la Granduchessa su tale versione della storia. La zuppa a corte venne subito argutamente detta tiramisù tra risatine maliziose.
Secoli dopo nel ristorante Le Beccherie a Treviso, ridente località del Veneto, reinventarono il dolce con il mascarpone e i savoiardi imbevuti di caffè a strati, e lo chiamarono tiramisù, ed è un po' come se la memoria storica di certi piatti non scompaia mai. Strana 'sta cosa.

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aprile 18, 2006

2006. Shang Hai. Zupponi.



Il Bund è il quartiere di Shang Hai costruito dagli europei, in pieno colonialismo. Perché Shang Hai era (è) la città della Cina dove si facevano (fanno) affari. Affari veri. Mica quelli finti. Giravano (girano) soldi. Da sempre. Da quando Shang Hai (Sopra il mare) è nata. Delle antiche vestigia cinesi, Shang Hai non possiede nulla. Zero totale. Ma in Cina è così. Ogni nuova dinastia distrugge le memorie di quella precedente. A volte veniva fatto anche con i libri. Ma la classe dei mandarini, classe potente e struttura dello Stato cinese ha una sua identità e pertanto molti scritti antichi hanno attraversato i secoli. I mandarini hanno sempre comandato e la Cina era ed è un paese burocratico. Perché era ed è uno Stato. La Cina è grande certo, ingloba un'immensità di etnie e dialetti. Ma quello che unisce tutti i cinesi è il senso dello Stato e la scrittura. E vanno sempre assieme. Con l'avvento della dinastia di Mao i mandarini si sono trasformati e sono adesso l'apparato del partito di Stato, che promette a tutti i cinesi l'uguaglianza. Non ancora la democrazia, ma di sicuro il self made man (qualcuno bizzarramente definisce la Cina uno stato comunista! forse ancora non l'hanno capito che in Oriente il comunismo è sempre esistito perché l'io greco non ha mai attecchito e in Oriente comanda il gruppo e non l'individuo, e nel contempo il senso del denaro lo si è intuito molto prima che Marx scrivesse das Kapital)
Ma per tornare a Shang Hai il Bund è bello, com'è bella Vienna o Berlino. L'impronta è quella e l'effetto è di totale estraniamento, potrebbe essere un qualsiasi posto in Occidente con un minimo di Storia. Poi giri l'angolo e trovi l'altra Shang Hai. Un basso napoletano, i panni stesi, la zozzura, la monnezza, i volti saggi e ironici, la risata, la tristezza, la povertà, che non è quella da fame vera. Perchè mangiano tutti, sempre e a qualsiasi ora, il cibo è cosa seria e di ristoranti Shang Hai è strapiena. Si mangia con poco. Con molto si mangia benissimo. Ecco: la differenza tra un cibo di strada e un cibo di ristorante sta nel piatto pulito, nella tovaglia, e nella qualità. Paghi tanto e hai molto. Paghi poco e ti si dà un pratico zuppone. Non eccellente, ma buono, la differenza sta nella quantità di glutammato di sodio che ci sbattono dentro. I miei amici David e Joi mi hanno portato da Uncle of Shang Hai (lo zio di Shang Hai un ristorante che è una specie di istituzione e che sta sotto l'hotel Westin). Ho mangiato l'anatra ripiena di riso, anacardi, trito d'anatra, funghi e salsa di soia. Una roba da sballo. Buonissssssssima!!
Ho bevuto tè ottimi e ho girato per mercatini pieni di magliette con l'immagine del Grande Timoniere. Interi quartieri rasi al suolo e gru, tantissime che stanno ricostruendo palazzi e palazzi...non ho ben capito con che architettura. Devo dire che ho visto più edilizia brutta che bella. E i pochi edifici belli sono firmati dai famosi architetti occidentali, e se in due anni non si finisce lo stabile, lo Stato sequestra tutto, quindi si lavora anche di notte... E insomma non so se a Shang Hai potrei viverci. Ma starci per un po' sì. Perchè è interessante. Molto. I cinesi non troppo. Ma forse è solo per un mio handicap linguistico. Mi sono comunque strafocata di zupponi. Ne ho mangiati tantissimi e ho mangiato anche un sacco di ravioli di tutti i generi.
Adesso mi piacerebbe sapere da chi è stata presa 'sta storia dei bambini bolliti. Comunque è vera a metà. Esiste in effetti la zuppa di feto. Già morto (nel senso abortito a 6/7 mesi). E porta un'immane fortuna mangiarla. Ma lo poteva fare solo l'imperatore. O chi per esso. O le donne non feconde. Qualcuno dovrebbe tradurre bene gli ideogrammi e poi aprire la bocca e dire cattiverie su un popolo come quello cinese. Stiamo un po' attenti. Che sono in tanti. Ma proprio tanti. Per dire.

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aprile 13, 2006

2006. Hong Kong. Dim Sum.


Hong Kong è piccola e contiene 8 milioni di abitanti, buttati in sù perché spazio proprio non ce n'è. Si conoscono più o meno tutti quanti, almeno tutti gli italiani che stanno a Hong Kong si conoscono perchè lo senti: non è che sia una vera megalopoli ma solo un grande villaggio. Da andarci a vivere. C'è tutto e tutti parlano inglese, appare una città frenetica, ma nel contempo tranquilla, si vive bene e si sta bene. Poi non ho bene capito come ma la sindrome del colonialista tutti i bianchi in Oriente la prendono e ne soffrono assai. Credo che si tratti di una questione semplicemente razziale. Dopo una settimana sentivo sempre dirmi: guarda, hai a che fare con i cinesi, tra il condiscendente e il saputo. E' vero. Ce ne sono così tanti che dopo un po' ti senti minoranza e ti senti accerchiato, ma è anche vero che rispetto a Shanghai ce ne sono molti meno e che Hong Kong è un crogiolo di razze e di moltidudini non indifferente e ha un allure di internazionalità che a due ore di volo da lì non si trova per niente. I miei amichetti cuochi mi hanno portato a mangiare cinese (mica quello che si mangia qui! quello che si mangia a Hong Kong è diverso! sul serio). La domenica si va tutti a mangiare dim sum, vale a dire un insieme di piatti assolutamente popolari che fanno parte della cucina cantonese: zampe di gallina, trippa, involtini e tanti tanti ravioli di ogni genere e specie. E soprattutto il pane ripieno o di verdure o di carne (buonissimo pure quello). Ho avuto difficoltà a mangiare la zampa di gallina. Non so dire il perché. Mi sembrava una zampetta di gallina troppo giovane. Ma il resto assicuro che era di una bontà clamorosa. Da andare a Hong Kong solo la domenica a fare il brunch. Basta con 'ste uova e prosciutto! che diamine! il dim sum è molto più buono e più variegato. Ho mangiato bene ovunque e a volte ho mangiato divinamente bene. Posti piccoli, sporchi, posti meravigliosi e pubblicati su ogni giornale di design. A Hong Kong c'è tutto e ce n'è per ogni tasca. Se ci andrei a vivere? sì. Mica per sempre. Ma per due o tre anni sì. E' come stare a Londra. Ci si ambienta subito. Non ci stai troppo a pensare e Hong Kong ti entra dentro come un sogno variegato e umido. Ah sì. Piove un sacco. E' umida. Troppo. Ma dopo un po' non ci fai molto caso. Ti sbatti dentro a un ristorantino di dim sum e mangi, mangi, mangi, mangi....

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