La Piccolacuoca fa la spiega di storia. Ottava lezione: Pavlova
1926. Perth. Australia. Berth Sachse la vide scivolare sul palco con delle scarpette con la punta rinforzata che non aveva mai visto una cosa così. Sentì un piccolo ohh da parte del pubblico. Lui stesso rimase a guardare le calzature per parecchio tempo. Era fragile ed eterea ed un applauso d'ammirato fervore esplose. Lei chinò la testa ringraziandoli e sorridendo senza superbia. Danzò quasi sempre sulle punte, sollevandosi con facilità e precisione. Bianca ed nuvolosa si muoveva scivolando e lui non aveva mai visto nessuno pattinare senza pattini ma lei Anna Pavlova ci riusciva a dare quell'impressione e lui e tutto il pubblico ne rimase letteralmente folgorato. Il pubblico taceva mentre eseguiva la parte del cigno musicata da Camille Saint-Saëns, completamente rapito da quella minuscola e aggraziata figura che sul palco ondeggiava e cadeva e si rialzava per poi accasciarsi per sempre. Mentre giaceva rattrappita ogni tanto fremeva che stava morendo ed era tutto talmente realistico con quel cigno la cui vita se ne stava andando tra mille piume bianche che a tutti vennero le lacrime agli occhi che la morte era così, che arrivava e strappava la vita e nulla poteva lo splendido animale e l'eterea ballerina. Infine la figura giacque immobile a terra. I riflettori si spensero e si accesero le luci in sala ma il silenzio perdurò. Nessuno fiatava, parevano avvolti tutti nel dormiveglia con il sogno che faticava ad andarsene. E poi gli australiani si svegliarono e si alzarono sperticandosi le mani e urlando brava e bis.
Berth rimase seduto. Gli mancava quasi il respiro e lo sapeva che negli anni quell'esperienza l'avrebbe rincorso nei suoi sogni e nei suoi incubi. Se lo sentiva dentro. Quella minuscola e aggraziata donna gli aveva illuminato la vita interiore.
Uscì dal teatro con un senso di malinconia e tristezza e dolore e quasi si sarebbe messo a piangere e l'avrebbe fatto se non fosse che si chiese se poteva lui povero pasticcere conoscere Anna Pavlova. Sapeva che soggiornava nell'albergo dove lavorava, il migliore di Perth, Hotel Esplanade.
Nei giorni seguenti infatti la vide passeggiare nel giardino dell'albergo e soggiornare nell hall e la seguì con gli occhi di un innamorato, la guardava muoversi e rimase conmpletamente soggiogato dall'aurea di magia che Anna Pavlova emanava. Era piccolissima, sottile, magrissima. Una bambolina. Non aveva quasi neanche una ruga seppure nel pieno della mezza età e mangiava tanto e chiaccherava tanto e rideva tanto. Aveva una voce profonda. Adorava i dolci e ne era assai golosa e lui s'adoperò come un'ossesso nel prepararle torte, pasticcini, bignè, frutte glassate e cioccolatini. Anna Pavlova andava vestita prevalentemente di bianco e aveva dei gran scialli ricchissimi di perle e chiffon che l'avvolgevano. Si sapeva che stava ore e ore a esercitarsi e a provare la stessa movenza. Ore.
Berth nelle cucine stava ugualmente ore e ore a fare lo stesso. A prepararle meravigliose leccornie che sapeva lei avrebbe apprezzato ed era felice solo del fatto che tutto quello che lui faceva lei l'avrebbe mangiato ridendo. Lui sarebbe entrato in lei. Ed era felice come mai prima d'allora.
Poi Anna Pavlova partì e lasciò l'Australia per rientrare in Europa. Se ne andò e Berth cadde in una sorta di depressione e lavorò svogliato per molto tempo e quando guardava nella hall gli sembrava di risentire la sua risata bassa e dolce.
Cinque anni dopo a gennaio in pieno inverno australiano sul giornale apparve la notizia che Anna Pavlova era morta per una polmonite. Berth lesse e scoppiò a piangere. E quella notte la sognò mentre moriva sussultando squassata dai colpi di tosse, sul palco tra mille piume bianche, mentre un rivolo di sangue le cadeva dalla bocca esangue. La mattina dopo asciugandosi gli occhi tormentato dal suo ricordo, andò al lavoro ed entrò in pasticceria con l'idea di preparare un dolce tutto bianco, duro come dovevano essere le punte delle sue scarpine da ballo che tanto avevano colpito l'immaginario di tutti, ma morbido come lo erano le sue movenze, bianco come le piume del cigno morente e pannoso come la sua eterea lucentezza, con una macchia di colore rosso come la malattia che l'aveva stroncata.
Poi gli venne in mente la meringa e la fece e la rifece ma era troppo dura e allora dopo altri tentativi aggiunse dell'aceto che avrebbe di sicuro virato le proprietà chimiche dell'albume. E riprovò ancora la cottura e alla fine la sua ricetta fatta di tre albumi, 250 gr. di zucchero, un pizzico di sale, due cucchiaini di aceto, un cucchiaino di estratto di vaniglia e un cucchiaino di amido di mais, quindi la fece montare fermissima tanto da divenir lucida. Le diede la forma di torta con alti bordi. La mise in forno a cottura molto bassa a 150 gradi per 90 minuti e poi la tirò fuori. Capovolse la fragile meringa, dura all'esterno ma morbida all'interno, e la lasciò raffreddare. Montò tantissima panna con cui riempì la torta raffreddata e sopra vi appoggiò fragoline di bosco e lamponi ricroprendo la panna in modo che l'acido dei frutti di bosco richiamasse l'acidità del dolore che sempre la morte provoca. Rimase a guardare a lungo il dolce e poi le diede il nome che non era capace di chiamarla Anna. Per Berth Sachse lei era un sogno mortale chiamato Pavlova.
Berth rimase seduto. Gli mancava quasi il respiro e lo sapeva che negli anni quell'esperienza l'avrebbe rincorso nei suoi sogni e nei suoi incubi. Se lo sentiva dentro. Quella minuscola e aggraziata donna gli aveva illuminato la vita interiore.
Uscì dal teatro con un senso di malinconia e tristezza e dolore e quasi si sarebbe messo a piangere e l'avrebbe fatto se non fosse che si chiese se poteva lui povero pasticcere conoscere Anna Pavlova. Sapeva che soggiornava nell'albergo dove lavorava, il migliore di Perth, Hotel Esplanade.
Nei giorni seguenti infatti la vide passeggiare nel giardino dell'albergo e soggiornare nell hall e la seguì con gli occhi di un innamorato, la guardava muoversi e rimase conmpletamente soggiogato dall'aurea di magia che Anna Pavlova emanava. Era piccolissima, sottile, magrissima. Una bambolina. Non aveva quasi neanche una ruga seppure nel pieno della mezza età e mangiava tanto e chiaccherava tanto e rideva tanto. Aveva una voce profonda. Adorava i dolci e ne era assai golosa e lui s'adoperò come un'ossesso nel prepararle torte, pasticcini, bignè, frutte glassate e cioccolatini. Anna Pavlova andava vestita prevalentemente di bianco e aveva dei gran scialli ricchissimi di perle e chiffon che l'avvolgevano. Si sapeva che stava ore e ore a esercitarsi e a provare la stessa movenza. Ore.
Berth nelle cucine stava ugualmente ore e ore a fare lo stesso. A prepararle meravigliose leccornie che sapeva lei avrebbe apprezzato ed era felice solo del fatto che tutto quello che lui faceva lei l'avrebbe mangiato ridendo. Lui sarebbe entrato in lei. Ed era felice come mai prima d'allora.
Poi Anna Pavlova partì e lasciò l'Australia per rientrare in Europa. Se ne andò e Berth cadde in una sorta di depressione e lavorò svogliato per molto tempo e quando guardava nella hall gli sembrava di risentire la sua risata bassa e dolce.
Cinque anni dopo a gennaio in pieno inverno australiano sul giornale apparve la notizia che Anna Pavlova era morta per una polmonite. Berth lesse e scoppiò a piangere. E quella notte la sognò mentre moriva sussultando squassata dai colpi di tosse, sul palco tra mille piume bianche, mentre un rivolo di sangue le cadeva dalla bocca esangue. La mattina dopo asciugandosi gli occhi tormentato dal suo ricordo, andò al lavoro ed entrò in pasticceria con l'idea di preparare un dolce tutto bianco, duro come dovevano essere le punte delle sue scarpine da ballo che tanto avevano colpito l'immaginario di tutti, ma morbido come lo erano le sue movenze, bianco come le piume del cigno morente e pannoso come la sua eterea lucentezza, con una macchia di colore rosso come la malattia che l'aveva stroncata.
Poi gli venne in mente la meringa e la fece e la rifece ma era troppo dura e allora dopo altri tentativi aggiunse dell'aceto che avrebbe di sicuro virato le proprietà chimiche dell'albume. E riprovò ancora la cottura e alla fine la sua ricetta fatta di tre albumi, 250 gr. di zucchero, un pizzico di sale, due cucchiaini di aceto, un cucchiaino di estratto di vaniglia e un cucchiaino di amido di mais, quindi la fece montare fermissima tanto da divenir lucida. Le diede la forma di torta con alti bordi. La mise in forno a cottura molto bassa a 150 gradi per 90 minuti e poi la tirò fuori. Capovolse la fragile meringa, dura all'esterno ma morbida all'interno, e la lasciò raffreddare. Montò tantissima panna con cui riempì la torta raffreddata e sopra vi appoggiò fragoline di bosco e lamponi ricroprendo la panna in modo che l'acido dei frutti di bosco richiamasse l'acidità del dolore che sempre la morte provoca. Rimase a guardare a lungo il dolce e poi le diede il nome che non era capace di chiamarla Anna. Per Berth Sachse lei era un sogno mortale chiamato Pavlova.
Etichette: La Storia spiegata dalla Piccolacuoca
26 Comments:
grazie. è bellissima.
flavio
Se Artusi avesse scritto le sue ricette allo stesso modo, avrebbe preso il Nobel per la letteratura.
bellissima e tenerissima storia. La danza era uno dei miei sogni di bambina infranto dagli ostacoli di una realtà di una città di provincia...
dovrebbero darti una pagina del corriere
altro che blog.......
sono curioso di provare la tua cucina
quale ristorante ha il piacere di avere il tuo servizio?
roberto
@a tutti: siete molto teneri...io ho ben altro nella testa che queste sono fugaci sembianze dello scrivere vero...
@roberto: scrivimi privatamente e ti dirà dove lavoro
Ciao! Davvero originale il tuo modo di scrivere ricette :-)
Speriamo che l'esecuzione (la pratica insomma) vada via liscia come i tuoi post :-)
scusami piccola cuoca ma come faccio a mandarti un sms privato?
perdona la mia ignoranza informatica!
roberto
@roberto, nei miei credits (schiaccia profilo) c'è anche l'email:
ggiuliam@iol.it
Nottataccia questa che non riesco a prendere sonno, troppo agitata. Che bellezza le tue parole, mi hanno rassenerato un pò. Davvero, Piccolacuoca, sai rendere un'immagine in parole in maniera sempre intensa e coinvolgente...vabbè, riprovo a dormire! Ciaooooo
anch'io indirizzo ristorante!
anch'io privatamente!
anch'io provare cucina, gozzovigliare e strabere fino a quando sarai costretta a farmi accompagnare alla porta!
Berth Sachse creò allora il più dolce Xenia della storia...
Mi ha incantata questa lettura. Grazie :-***
io ti adoro. Fai diventare tutto reale, i tuoi scritti sono a 3D. Pensa che non posso più leggerti dal pc dell'ufficio perchè hanno bloccato tutti i blogspot (chissà perchè)per cui quando torno a casa, prima di andare a prendere i miei figli, accendo il mio pc per poterti leggere.
Anna_AR
porca vacca...
ti linko a qualche amichetto cuoco.
Ho dato un'occhiata al tuo blog, e devo ammettere che è molto divertente! Credo che ti metterò tra i miei links!!!
^____*
visto che tantissimi chiedono in quale ristorante lavora la super piccola cuoca e visto che siamo in periodo di carnevale allora faccio uno scherzetto......: il ristorante si chiama "EDA" (lo trovate facilmente in google.
Ovviamente è sempre pieno.
Dimenticavo la piccola cuoca a richiesta cucina a domicilio.
ps. buon carnevale.
grazie, mi ero sempre chiesta perchè quella meringa portasse il nome di quella ballerina russa, avevo pensato anche ad un omonimina col cuoco che l'ha inventata ma il candore etereo della meringa sempre mi aveva fatto pensare a quello del costume per la morte del cigno e quindi ho avuto sempre il sospetto che l'etoile russa c'entrasse qualcosa...
Sei grande grande!!! ;o) ma che te lo dico a fare!!!:)
Ma te lo dico lo stesso... il nobel, si, ha ragione red, ci vuole il nobel.. Ciao Giò.. prima o poi riuscirò a venire a trovarti!
:-*
veramente una bella storia
se riesco includerò questa Pavlova in un lavoro che sto facendo sull'europa dell'est
Prosa-Fabergè.
Brava!
L.
una dolce soria, un po triste..
E' molto tardi, almeno per me, ma é stato veramente piacevole e coinvolgente leggerti! Grazie per la bella sensazione! Buona notte Leo
piccolacuoca
è una storia molto bella
sto inizando un corso di cucina est europe aper volontari che parteciperanno ad un evento interculturale, mi chiedevo se potevo usare questo bellissimo racconto nella sezione "cibi russi"
perpiacereperpiacereperpiacereperpiacereperpiacereperpiacereperpiacereperpiacere
comidademama
La storia è bellissima, e finalmente ho scoperto perchè questo dolce si chiama così, ma a gennaio come fa ad essere inverno in Australia? :-/
@elisa: nessun problema, scrivimi.
@a tutti: confermo di lavorare all'EDA, via Filippino Lippi n.7 milano, per il momento
cara lapiccolacuoca, bella storia pero' la vera origine della pavlova e' neozelandese, i loro "amati/odiati cugini" australiani l'hanno poi fatta loro e ne rivendicano i natali. Scusa l'appunto ma mia suocera neozelandese non fa altro che ricordarmelo!;)
ciao
pastafrolla
Mi sono permesso di segnalare la storia della Pavlova nel mio blog, linkando un tuo post.
Il tuo blog è veramente bellissimo...
Grazie
santin
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