1981. Partimmo da Venezia per andare a Parigi con il treno. Chiaro che c'era Matteo con la chitarra e noi tutti passammo la notte a cantare canzoni di De Andrè e di Battisti. Binomio orrendo ma allora si usava così. L'impegno e il disimpegno. Poi attaccammo con i Talking Heads e i Clash insomma una nottata lunga e rumorosa. Arrivammo alla Gare de Lyon stremati. Dovevamo finire al campeggio di Bois de Boulogne. Prendemmo metropolitane su metropolitane, affamati e stanchi montammo la tenda e ci accasciammo a dormire. E poi Parigi ci accolse. Eravamo in dieci e a Parigi l'unico che c'era stato era Matteo, che ci fece un po' da guida nei giorni seguenti finchè parve d'esserci benissimo ambientati. Delle due settimane che la guardai, andai in giro, girovagai nei quartieri turistici e quelli meno conosciuti, quello che più mi è rimasto dentro fu il colore del cielo e le sue nuvole e soprattutto l'aria che nella mia testa sapeva di bagette e formaggi. Ma anche di pasticcini. E di profumi lussuosi.
Quando vado in paese straniero la prima cosa che faccio è di entrare nei supermercati e nei negozi di cibo. A Parigi i supermercati erano fenomenali, pieni di roba e colmi di vini con etichette meravigliose. Guardavo le vetrine delle macellerie che a Parigi ai tempi erano piene di animali appesi e 'sta cosa a me affascinò assai. M'affascinavano le pollerie con le lepri, i conigli, le faraone, le oche tutti appesi con manti e pelliccette. Adesso per questioni igieniche è tutto diverso ma allora era prassi. E a me piacque un casino. Mi faceva molto film horror ambientato nell'800.
E poi nei mercati i banconi strapieni di patè e formaggi. E le pasticcerie che parevano gioiellerie. E soprattutto la brioche. Il croissant. Il pain au chocolate. Di cui ci strafogammo essendo alimenti molto a basso costo e vicini alle nostre povere tasche. Mi piaceva la vita di quartiere che ruotava attorno ai bistrot che poi stavi un po' a guardare e sembravano i bar dei nostri paesi. Tutti che si conoscevano e si salutavano e nessuno che si faceva i cazzi suoi. Tutti che sapevano di tutti. E lo sguardo che ti inquadrava subito come un turista e non come un autoctono.
Ovvio che essendo studenti non avevamo una lira e quindi passavano sempre a fare la spesa nei supermercati e si finiva per mangiare pere, formaggio, patè, bagette, brioches, insomma una vita abbastanza grama dal punto di vista alimentare. Mica potevamo permetterci il ristorante.
Ma un giorno Matteo ci stupì con effetti speciali e disse che una cara amica della sua mamma ci aveva invitato a casa sua quel sabato sera. Insomma stavamo andando ad una cena a casa di una parigina. Lodammo molto Matteo che ci stava salvando da un'altra misera serata a mangiare roba fredda. Non sapevamo che la signora abitava in un palazzo (di sua proprietà) che dava sulla Senna vicino a Notre Dame. Quando lo scoprimmo ci rimanemmo molto di sale. Non c'eravamo vestiti bene, anzi apparivamo una piccola banda di straccioni. L'unico fattore positivo era che m'ero impuntata che si doveva portare almeno un mazzo di fiori alla signora. Feci una sorta di esproprio proletario prelevando denari dalle tasche dei miei compagni di disavventura e acquistai un enorme mazzo di fiori, bellissimo, e di cui fui fiera. Gli altri mi odiarono ma poi mi ringraziarono. A fine serata. Dopo la cena.
La signora era vedova ed era una donna meravigliosa, piccola, fragile e bellissima che ci accolse con estrema nobiltà e gentilezza, ci presentò la figlia altrettanto piccola e bellissima e di cui tutti i maschi s'innamorarono così seduta stante (e c'ha pure i soldi! disse il Vince) e ci fece accomodare nella sala immensa con tavola apparecchiata. Ci sembrava di essere caduti in un sogno. Per noi 10 ragazzi provinciali, ironici e punkettari fu uno spasso, pensavamo stessero girando un film e ci fosse la candid camera nascosta da qualche parte. Per nostra fortuna quasi tutti noi eravamo stati educati bene a tavola. Sapevamo soprattutto quale posate usare (e ce n'erano tantissime), e non facemmo figure di merda. Benchè punkettari eravamo alla fin fine dei borghesi e si sà tutti i borghesi riconoscono la richezza sedimentata. La signora sapeva l'italiano e verso metà serata riuscimmo banda di guitti a farla ridere. Aveva una risata cristallina e trascinante che pareva quella di una bimba gioiosa. Scherzammo molto e l'atmosfera rarefatta divenne grazie alle numerose bottiglie di vino allegra e rilassata. La signora fu vera signora e come tutti i gourmand ci passò preziose informazioni su cibi e bevande.
La cena? ekkevelodicoaffare: fu sublime. Sarà stata la fame ma fu un alto tripudio di grande cucina francese: un piatto enorme di formaggi, un piatto di paté e fois gras, enormi quantità di vino rosso, un brodo (cazzo il brodo! ma allora è come a casa! sussurrò Vince, no l'ospedale! mormorai io, si chiama consommé testedikazzo! disse Matteo), faraona con salsa alle prugne e poi lepre con verdure, insalate varie, e per finire una mousse che ancora ricordo. Una mousse allo champagne Krug (nota bene Krug: razza di ignoranti) accompagnata da appunto un flute di Krug.
Fu una cena memorabile. Non mangiai mai più così bene a Parigi benché ci sia ritornata tante volte e mi sia fatta degli azzeccati tour enograstronomici.
Ma come dicevo: si era nel 1981 e noi avevamo fame e la fame fa strani scherzi alle papille gustative ma Parigi è sempre Parigi e io non c'ho mai mangiato male. Mai. Mica per dire. Sul serio.
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