luglio 08, 2011

Sui rami alti del pruno

Si era ai primi di marzo del '44 e l'aria stava cambiando. Sui cigli dei fossi le primule gialle fiorivano e in lontananza, all'orizzonte, la grande quercia stava di guardia al tesoro nascosto tra le sue radici.

Il pruno in quei giorni era carico di gemme che presto sarebbero sbocciate. Centenario si stagliava a sinistra dall'ampia aia, di fronte il casolare, e d'estate si caricava di prugne succose. Le migliori, quelle toccate dall'angolazione perfetta dei raggi del sole, si trovavano sui rami più alti e da quelle mamma Grazia era solita fare l'unica marmellata che la famiglia consumava nei freddi mesi d'inverno. Era una marmellata dal sapore lieve e particolare, che tutti divoravano gustandola, ben sapendo non solo che era unica ma che era la migliore, non troppo dolce e non troppo amara. Era la loro marmellata preferita. Era la marmellata di mamma Grazia.
L'incaricato a salire e raccogliere le prugne nei rami più alti del pruno era il piccolo Gustavo dalla orecchie a sventolina. S'arrampicava leggero e veloce, tanto che pareva una scimmietta, e staccava i frutti altrettanto velocemente, riempiendo il paniere in quattro e quattrotto.

Quel mattino d'inizio marzo il piccolo Gustavo si svegliò per il freddo. Sua sorella Augusta non c'era nel lettone e neanche suo fratello Steno. Scosso dai tremori stava quasi per mettersi a pisciare sul letto ghiacciato. Si alzò, s'infilò gli zoccoli e scese le scale, uscì nell'aia e rimase abbagliato dalla luce mattutina. Coprendosi gli occhi con la mano corse al gabinetto che stava al di là dell'aia. Mentre pisciava si ricordò del sogno. Erano tutti attorno alla quercia, con Bepi il mona che sussurrava tiremole fora, femole shcioppar tutte e cantemo eepooooneevin. Mentre dissotterravano le munizioni ai piedi della quercia, sua madre s'era avvicinata da dietro e gli aveva accarezzato la testa e gli aveva dato un buffetto vara che no s'è robe da far.

Scrollando il pisello l'immagine di mamma Grazia che gli accarezzava la testa lo fece quasi ridere. Xera un sonio, si disse. Si portava dentro l'assoluta certezza che mamma Grazia mai nell'intera vita gli avesse accarezzato la testa. Forse l'aveva fatto, forse quella sensazione sconosciuta risaliva a tempi dei quali non aveva memoria. Era cosciente solo del fatto che mamma Grazia non l'aveva mai accarezzato.

Gò fatto un sonio beo pensò uscendo dal gabinetto e si riavviò verso il casolare. Gli s'affacciò di nuovo alla memoria l'immagine delle munizioni e gli sovvenne che non erano più andati laggiù, vicino ai resti dello Stuka. Erano arrivati tedeschi, che i tedeschi arrivavano sempre. Avevano trasportato altrove l'aereo e ai cadaveri avevano dato degna sepoltura con una cerimonia grandiosa per onorare l'eroismo della grande Luftwaffe. Nessuno del paese, a parte tedeschi e fascisti, aveva partecipato a quel funerale.

Il piccolo Gustavo e tutta la banda non ne avevano più parlato. Era un tacito accordo, era il loro segreto. I giorni erano passati fino a quel mattino e il piccolo Gustavo dalle orecchie a sventolina decise che era giunto il momento, perché se arrivano i sogni qualcosa vuol pur dire. Il piccolo Gustavo s'incontrò al solito posto con tutti gli altri bambini sfacendati dopo il magro pranzo, mentre i grandi andavano a riposarsi un paio d'ore.

"Gavemo da tirar fora le palotole dei tedeschi"

"E cossa femo coe palotole?" chiese Bepi il mona, ma l'idea di disseppellire le pallottole aveva già preso la fantasia dei bambini che prontamente s'erano messi a correre verso la quercia e alacramente avevano iniziato a scavare con le mani la terra finchè non trovarono la scatola e riuscirono a tirare fuori le rastrelliere.

"Le femo shcioppàr". Annunciò il piccolo Gustavo entusiasta. Guardò il Bepi quasi a dirgli che stava seguendo le sue indicazioni, che va bene che era un sogno, ma mica era un'idea sua quella. E Bepi il mona obiettò "Ma le xè massa". Il piccolo Gustavo stava per averne a male ma poi comprese che el xera stato un sonio beo. Gli altri stavano trasportando le munizioni verso il luogo dove era caduto lo Stuka. Le misero una sopra l'alta impilandole in una stabile catasta e ne lasciarono fuori alcune da cui estrassero la polvere da sparo e fecero un lunga striscia. Bepi aveva i fiammiferi e accese la miccia.

I contadini dei dintorni ebbero un sopprassalto per lo scoppio violentissimo e uscirono dai casolari spaventati, che pareva fosse scoppiata una bomba. Da lontano una lunga colonna di fumo denunciava l'accaduto. E si misero in attesa, dolorosamente consapevoli che qualcosa di grave era accaduto, aspettando preoccupati che arrivassero i tedeschi, che arrivavano sempre. I bambini intanto erano stati sbalzati dall'urto dello spostamento d'aria. S'erano feriti ed escoriati ed erano completamente coperti di nero di fuliggine. Rintronati dal botto s'erano dati a un fuggifuggi generale. Sapevano di averla combinata grossa e capivano che a casa li avrebbero presi a cinghiate.
Mentre correvano zoppicando sentirono il rombo delle camionette tedesche. Il piccolo Gustavo mentre si dirigeva verso casa, avendoli intravisti sulla strada da lontano, si trovò la via sbarrata dal pruno su cui s'arrampicò veloce. Lui lo sapeva che le persone non guardavano mai in alto. E lassù si calmò sentendosi al sicuro tra i rami alti carichi di gemme.
Le due camionette entrarono nell'aia e scesero i tedeschi e quasi l'intera famiglia stava uscendo di casa con aria apprensiva. Spianarono le armi facendo alzare le mani e le braccia, mettendola contro il muro di casa. Papà Angelo proprio in quel momento uscì dalla stalla e s'avvicinò al comandante che stava ordinando qualcosa ai suoi soldati. Camminava a testa alta, non mostrando segni di paura, con la fronte corrugata e si fermò di fronte al tedesco. Che corrugò a sua volte la fronte e iniziarono a parlare ma il piccolo Gustavo non riusciva a sentire niente, 'ché era troppo lontano e in alto. La conversazione ebbe fine quando papà Angelo scosse la testa deciso.
Abbracciato al ramo del pruno, guardò impotente il comandante puntare la pistola alla tempia di papà Gustavo che se ne stava immobile con gli occhi azzurriazzurri fissi in quelli del comandante. E proprio allora uscì mamma Grazia. Che si avviò decisa incontro ai militari e li guardò a uno a uno e poi disse qualcosa indicando i figli e i parenti radunati in fila. Disse qualcosa e di nuovo il piccolo Gustavo non riuscì a sentire. Fissava ipnotizzato la scena, aspettando senza respirare che i militari iniziassero a sparare alla sua famiglia radunata contro il muro del casolare.
Il comandante abbassò la pistola e tutti i militari parvero rilassarsi. Poi diede un ordine e quattro di loro entrarono in casa. Era tutto avvolto in un silenzio pesante. Aspettò che militari uscissero di casa e finalmente dopo un tempo che giudicò lunghissimo i soldati vennero fuori, trasportando uova, farina, burro, latte, polenta, zucchero, sale e sacchi di polenta. Si avviarono verso il pollaio e presero le galline e i conigli. Entrarono nella stalla e trascinarono fuori il maiale, che strillava e scalciava. Allora uno di loro estrasse la pistola e gli sparò alla testa, gli strilli cessarono di colpo mentre il suono dello sparo rimbombò nell'aia. Sussultarono e capirono che sarebbero morti. Nessuno parlò o pianse o pregò. Rimasero fermi contro il muro. Zia Giovanna cominciò a pregare sileziosamente, zio Giovanni respirò piano. I tedeschi caricarono sulla camionetta le vettovaglie razziate. Il comandante intanto aveva rinfoderato la pistola e seguiva il caricamento. Il maiale pesava e ci vollero ben quattro di loro per tirarlo sù. Poi il comandante si avvicinò di nuovo a papà Angelo e gli sibilò qualcosa. Nessuna risposta, nessun accenno, nessun abbassamento di occhi. Mamma Grazia era ferma in mezzo all'aia, fece pochi passi e fu vicina a papà Angelo. Il comandante disse qualcosa anche a lei. Mamma Grazia alzò il mento e di nuovo indicò tutta la propria famiglia appoggiata al muro. Il piccolo Gustavo conosceva quell'alzata di mento. Mamma Grazia era rabbiatissima.
Il comandante gridò un ordine ai soldati e si avviarono sulla camionetta, lui pure si girò e montò davanti, il guidatore mise in moto e partirono sgommando.
Papà Angelo si volse verso mamma Grazia scuotendo la testa, le disse qualcosa e le accarezzò la guancia. Lei si volse verso la famiglia che si stava staccando a pezzi e stava correndo verso di loro, rimasti fermi in mezzo all'aia, li avvolsero in un abbraccio, senza riuscire a sorridere o a piangere. S'avviarono verso casa e mentre entravano mamma Grazia si volse e guardò verso i campi, e alzò lo sguardo verso il pruno e il piccolo Gustavo seppe che era stato visto. Lo seppe perché la mamma Grazia aveva piegato la testa e lo faceva sempre quando lui ne faceva una delle sue.


"E poi?" chiese la figlia. "E poi quella volta non le ho ciapade" rispose papà Gustavo
"Ma ti aveva scoperto" "Sì. Ma xero massa in alto sul pruno" disse papà Gustavo con il tipico sogghigno del ragazzino astuto che è riuscito a farla franca.
Non gli venne da raccontare che la mamma Grazia prima di richiudere la porta dietro di sè, gli aveva sorriso. E lui quel sorriso lì non l'aveva mai visto. Un sorriso così unico e speciale che era uguale al sapore della marmellata di prugne, quelle migliori, che stavano nei rami più alti del pruno.

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