novembre 25, 2005

The Best, the Beast and the Bravest


Sono abbastanza vecchia da ricordarmi della tv in bianco e nero. Best: lui me lo ricordo bene. Perché era l'unico che girava con i capelli lunghi in campo. Tutti gli altri con i capelli tagliati corti. Best no. Aveva la palla sempre tra i piedi e giocava ridendo. Cioè lo vedevi che si stava divertendo. E, come Cassius Clay, danzava con la palla tra i piedi. Poi picchiava la moglie a casa e poteva anche essere the Beast ma sul campo aveva la classe. Non acqua. Gli inglesi lo adoravano, tutti lo adoravano e qui c'è un pezzo grondante retorica inglese, diversa dalla nostra retorica è chiaro. Io me lo ricordo, ero piccolina. Ma me lo ricordo proprio bene che girava capellone mentre tutti gli altri no. La diversità, quella mozartiana, la intuisci anche se sei piccolina. Crescendo comprendi poi la tragica umanità di (sop)portare un talento troppo grande, quello del the bravest, che non ce la fa a vivere in mezzo a tanti Salieri. Puoi chiamarti Best, e con quel nome devi diventare per forza the best, ma alla fine the beast salta fuori perché essere the bravest è difficile e non ci si convive bene. In cucina (forse ovunque) sta cosa la vedi spesso. Molti, the bravest non sempre ce la fanno. Lui non ce l'ha fatta.

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