novembre 02, 2009

Gli indiani a tavola


La nonna Teresa diceva sempre 'paese che vai, usanze che trovi' oppure 'tanti paesi, tante usanze'. Ero piccola e m'affascinava il suono della parola 'usanza'. Tuttora è una parola che mi intriga molto. Ha un suono esotico e stravagante, che il suono di 'rito', 'costume' e 'abitudine' non possiede. C'è la visione della tolleranza, non così comune, della capacità d'adattamento e di comprensione degli altrui costumi. Perché si è intimamente consapevoli della difficoltà di comprendere e capire il diverso. E' una piccolo dizionario della sopravvivenza del viaggiatore nei territori degli altri. Si accede al viaggio solo se si è mentalmente aperti. Paradossalmente questo detto da un lato immagina l'essere umano aperto e socievole, dall'altro è un avviso ad alzare la soglia d'attenzione, perché fuori dal proprio villaggio esiste una varietà assoluta di abitudini e usanze. Perché il bipede senziente, si sa, è assai creativo. Di fondo ciò che accomuna gli umani è innanzitutto la sussistenza, quindi procacciarsi il cibo e mangiare. E mentre su come ci si procacci il cibo le tipologie s'assomigliano un po' tutte (caccia, pesca, agricoltura, allevamento), le differenze sostanziali sorgono quando il cibo viene manipolato e consumato. Queste due attività vengono confinate in spazi precisi: la cucina e la tavola. In Occidente, come pure in Oriente, lo sviluppo delle preparazioni e cotture ha avuto un lungo percorso. Lo stesso discorso vale per il consumo del cibo dove la ritualità del pranzo in tavola, la maniera di mangiare e l'apparecchiatura configura gruppi e classi sociali. Se avete un minimo di senso critico e d'osservazione su come le persone mangiano, arrivate a conoscere con estrema esattezza la loro provenienza sociale, senza bisogno di chiedere informazioni. Da come impugnano le posate, a come portano il cibo alla bocca, dalla masticazione al sorseggiare le bevande, s'intuiscono tipologie umane e sociali. Varcate le soglie d'Oriente, il proprio spirito critico e d'osservazione evapora, perché sfugge completamente la catagolazione antropologica, a meno che non si studino storia e cultura del luogo. Ci sono tantissimi Orienti ed entrando nei luoghi adibiti alla consumazione, la prima cosa che balza agli occhi è che non ci sono posate, almeno non quelle a noi conosciute. E' un po' come essere capitati nel XVI sec. dell'Occidente (dove l'unica vera posata era il coltello. Il cucchiaio ha avuto alterne fortune, mentre la forchetta appare all'alba del Rinascimento). Nell'Estremo Oriente si mangia con le bacchette, mentre in India si usa solo la mano destra, perché la sinistra serve per lavarsi le parti intime. L'India, culla della civiltà indoeuropea, è rimasta fieramente attaccata alle proprie arcaiche usanze, quasi fosse in uno spazio atemporale.
Il cibo viene servito su una foglia di banana e la varietà dello stesso dipende dalla regione in cui uno si trova. Ovunque il terroir ha un enorme importanza, ma in India è fondamentale. Tutto è preparato in giornata, quello che rimane non viene mai riscaldato il giorno dopo. La mancanza di frigoriferi in un clima caldo umido impedisce la conservazione della rimanenza. L'acqua viene sempre fatta bollire, data la penuria di acquedotti. Le verdure sono generalmente stracotte e rare sono quelle servite crude. L'insalata indiana è composta da pomodoro, cetriolo e cipolla tagliata a fette grosse e servita con peperoncino verde. Tutte le lattughe crude sono guardate con estremo sospetto. L'abbondante uso di spezie è una caratteristica comune dei paesi caldi. Il piccante ha un alto potere disinfettante e aiuta a tenere lontano le malattie. Si comprende quindi l'uso e l'abuso del masala (quello che noi chiamiamo curry e che in verità è una pianta) che è composto di base da cinque spezie: curcuma, cannella, coriandolo, cumino e pepe nero e l'aggiunta di altre a piacere. Ogni sposa prima della dote porta la conoscenza della propria ricetta di masala, che è passata di generazione in generazione, che ha varianti su varianti.
Si diceva che gli indiani in genere mangiano usando la mano destra. A inizio e fine pasto le mani vengono sempre lavate. Esiste poi una precisa manualità per prendere il cibo e portarselo alla bocca, senza sbrodolarsi e impiastricciarsi. Non c'è il concetto di sedersi a tavola e mangiare tutti assieme. Non esiste cioè il concetto di tavola come la intendiamo noi. Mentre noi viviamo l'evento iniziando dalla tavola e dalla conseguente consumazione del cibo per poi passare a intraprendere le relazioni sociali quale conversare, ballare e bere, in India accade l'esatto contrario. Prima si beve, ci si intrattiene attraverso la conversazione (gli indiani sono molto socievoli e prolissi), indi si danza e si canta e solo alla fine ci si siede e si consuma velocemente il pasto e ci si saluta appena finito di mangiare. Mentre si mangia non si fa conversazione, si mangia in silenzio. Quando l'indiano viene messo in condizioni 'occidentali' fa estrema fatica a mangiare e conversare insieme. Come se i due atti andassero in conflitto. L'indiano inizia a parlare prolisso senza toccare il cibo in tavola, che immancabile si raffredda.
Gli uomini si siedono a terra sulle stuoie, o più semplicemente sulla nuda terra (contadini e artigiani), vengono serviti e mangiano per prima. Le donne mangiano quando hanno fame oppure con i figli, i bambini vengono nutriti a parte. Questo in generale. In particolare: gli indiani sono immensamente formali, chiusi in piccoli gruppi, in caste e sottocaste, e ogni casta ha una sua peculiare modalità d'assunzione e consumazione del cibo. I contadini hanno un loro modalità e maniera nel mangiare, gli artigiani un altro, i commercianti un altro ancora e così via. Nella stessa casta dei brahmini le differenze sono enormi. Non è solo la qualità che fa la differenza di casta, è soprattutto la quantità di pietanze e la varietà che determina il tessuto sociale e gli accorgimenti che dimostrano al ricchezza o la povertà della propria casta.
In questi ultimi due decenni si sta assistendo alla rivoluzione di usi e costumi dovuto all'influenza dell'Occidente. Nelle città l'introduzione del piatto, delle posate, della tavola e delle sedie, ha fatto sì che subitanenamente in due generazioni (a parte ovvio i ricchissimi, categoria che qui non si prende in esame) ci sia stata un'estrema evoluzione nella dimestichezza dell'uso delle posate, delle ceramiche e dei vetri.
Rimane la vastità dell'India rurale che continua tuttora a sedersi sulla stuoia in terra, a usare la mano per mangiare il riso e il dhal e l'incredibile varietà di verdure speziate, dove il metallo e la terracotta in cui servire il cibo sono i materiali predominanti. Lentamente (troppo lentamente) si sta cercando di risolvere il problema di una fame atavica. Esiste una enorme divergenza tra il il nord afflitto da una povertà disperata ed endemica e il ricco sud, dove la stessa ha un aspetto molto più dignitoso e sereno. Non è difficile capire che il cibo non ha ancora assunto valore di piacere che l'abbondanza comporta. Quando si ha tutto solo allora si cerca il meglio. Qui si è alle basi: il cibo serve ancora semplicemente al sostentamento. Mica per dire. Sul serio.

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10 Comments:

Anonymous Alessandro said...

Hai postato! Non succedeva dal 42 :)

8:39 PM  
Anonymous nishanga said...

Infatti; bentornata!Torno e ritorno perchè le tue storie mi piacciono sempre e i racconti come questo mi fanno ritornare tra ciò che ho amato e che evidentemente amo ancora molto. Grazie.
E' vero, poche davvero le verdure crude; suppono per il probblema del contagio con l'acqua che ovunque è sempre presente.Pensa che, ancora adesso, mantengo l'abitudine che, se bevo da una bottiglia, la tengo distante dalle labbra; e mi ricordo anche di una regola, curiosa ma prudente, che proibisce l'accesso diretto dell'ospite all'acqua della casa.
E' strano però che, nonostante tutte queste sagge attenzioni, per strada poi si raccolgano dal mucchio - posato peraltro sulla nuda terra - il fascio di canne che, strizzato e mischiato al ghiaccio, farà un succo che non ha pari in delizia con nessuna delle bevande che conosco e che a me, per fortuna, non ha mai portato danno.
Un saluto a te e alla mia adorata India che oltre al succo fresco di canna mia ha dato un'infinità di gioie e di insegnamenti.

10:30 PM  
Anonymous Anonimo said...

Ah,non avevi abbandonato il blog per sempre..benritrovata,si ricomincia a leggere qualcosa di bello!Mab

11:08 AM  
Anonymous CloseTheDoor said...

Finalmente ! Bentornata ! :)

4:07 PM  
Blogger lapiccolacuoca said...

eh. lo so. mi sono assentata. non e' che non avessi niente da scrivere. e' che sono stata un po' presa. adesso mi metto aripostare.

6:14 PM  
Blogger cat said...

ci sei mancata, micaperdire...
cat

11:56 PM  
Anonymous Maurice said...

Talmente abituato a non leggerti che sono passate due settimane prima di accorgermi che c'eri ancora. Meglio tardi che mai.
Un solo appunto: dici che quello che accomuna gli umani è la sussistenza e, aggiungo io, la procreazione. Su questo magari ci puoi intrattenere in un prossimo post.

7:23 AM  
Blogger MilleOrienti said...

Grazie di questo bella spiega, Vanna! Interessante e bello leggerti.
Auguri di un luminoso 2010!
baci
Marco/MilleOrienti

7:43 PM  
Blogger marcella candido cianchetti said...

interessantissimo buon 2010

8:23 AM  
Blogger dnidny said...

Sono rimasto affascinato da questo tuo blog.
L'ho trovato cercando sul Web: "gli Indiani mangiano in silenzio".
Non sapevo che prima "danno i numeri..." eh, eh, eh...
Poi non sapevo se erano i Pellerossa o i nativi dell'India :-(
Il tuo post è scritto molto bene, direi magistrale.
Lo linko sul mio sito perché è troppo bello!
Ciao.
Gabriele
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7:58 PM  

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