febbraio 06, 2010

Di fronte all'orto brinato


Uno arriva preparato, dopo un anno aspettandosi una serie di cose. Ma non è così. Non si è mai preparati al passaggio del tempo.

Sono arrivata e non ero preparata. Pensavo di esserlo e invece no. Non ero preparata a veder mio padre dimagrito e invecchiato. Come se in un anno fosse stato assalito da tutti gli anni che l’avevano tralasciato bizzarramente in un’età atemporale spensierata. Non ero preparata a vederlo sempre allegro a dispetto della morte incombente, incosciente, baldanzoso e dignitoso di fronte alla malattia. Poi ho capito che in verità ci sta pensando. L’ho capito guardando il suo orto, sempre ordinato, anche d’inverno, in un freddo consistente, abbandonato alla sua sorte, brinato e solo. Ci sta pensando che deve morire e ha deciso di farlo, fottendosene. Se prende le pastiglie, se fa la chemio è solo per far piacere a noi. Di fatto nella sua testa, lui sta bene e non ha voglia di persone che a sentir lui i rompe i cojoni. Di fatto si sta annoiando a non far niente. Non ci è abituato, non sa cosa sia il tempo dell'ozio.

Allora ho ripensato a tutto quello che mio padre ha fatto. Ha lavorato tantissimo, è un uomo incapace di stare senza fare niente. Come la maggior parte dei friulani che conosco, devo dire. Questa leggenda dei friulani gran lavoratori, ecco non è una leggenda. Mio padre non è una leggenda, per dire. Siccome è fiero della sua matrice contadina, ha continuato a coltivare la terra, anche quando non ce n’era bisogno, anche quando aveva (e ha tuttora) il supermercato a due passi. Il suo orto l’ha sempre avuto. Era il suo dovere nei confronti della fierezza d’appartenenza. È uno di quegli uomini antichi e arcaici per cui tu sei quello che fai e come lo fai. Se fai le cose, perché abbiano un’anima, devono essere fatte bene. Risulteranno belle. A prescindere. Impregnate di conoscenza tecnica e sapienza materiale. Mio padre non è stato mai un uomo trasandato nelle cose che faceva, mai sciatto. Anzi. E nel contempo non è mai stato uno maniacale. Anzi. La maniacalità la guarda con sospetto. Non è una roba sana, e se non è sana nella sua testa, allora ci sono i germi della nevrosi. Che nella sua testa si chiama stramberia. Sia chiaro non è uno che ha studiato e sa cosa sia la nevrosi, ma se gli spiegate i sintomi, vi direbbe ah gò capio, el xè strambo.

Osservo mio padre e capisco quanto mi abbia passato il suo esempio e quanto io gli debba in termini non tanto di DNA, quanto di rapporto sano con la vita, di serenità fatalista e determinista nei confronti degli accadimenti. Di sottile spensieratezza, infusa di saggezza. Senza rimpianti ma con l’intima soddisfazione di aver fatto quello che si è voluto fare, anche per dovere, ma lo si è fatto con la schiena dritta e fanculo a tutto il resto. Capisco anche che il momento a metà della mia vita di fare delle scelte, di ritornare. Ho visto abbastanza da aver intuito che poi per quanto viaggi, se hai la testa chiusa, te ne puoi anche stare a casa. Che gli umani son tutti simili e ci sono cose di base che rimangono quelle. Che la civiltà industriale ci sta solo dividendo dalla terra ma non dal ciclo della natura. Quella resta e nessuno di noi ha raggiunto ancora la conoscenza scientifica per cambiare le stagioni e la meteorologia e ancora non ci siamo arrivati a fermare il tempo. Così guardo l’orto brinato, che sarà abbandonato ancora per un po’ e poi di nuovo verrà coltivato. Perché è un eterno ciclo e bisogna mantenerlo affinché si possa dire d’aver intuito, anche solo capito per un secondo, il senso della natura che risiede dentro di noi.

Io non lo so se ho la testa chiusa per quanto abbia viaggiato e fatto. Ma forse è arrivato il momento di ritornare alla famiglia. E’ utile ricordarsi di dire che è un ‘dovere’ stare accanto ai genitori nel tempo della malattia e della morte. Forse è un momento di passaggio, di accettazione dello stesso, di sapere che niente sarà più come prima e di andare avanti, consapevoli di esserci stati nel bisogno. Perché è giusto che sia così. E’ un misero ringraziamento per quanto si è ricevuto, che è tanto, è troppo, rispetto a quello che è rimasto nelle proprie mani, giunti a metà della vita. Che è così poco, da averne quasi paura.


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