febbraio 29, 2008

Il post del 29 febbraio

Scrivo un piccolo post in questo giorno qui che ritorna ogni 4 anni e che per me è un giorno strano, non perché sia una giornata particolare 'ché scorre come sempre a tutti giorni uguale. Ma questo giorno qui arriva ogni 4 anni e m'ha sempre fatto strano il 29 febbraio. Insomma non l'ho mai capito bene ma son io che forse non capisco bene il tempo che passa e non ritorna e mi sgomenta il tempo trascorso e che non ricordo più.  Allora per ricordarmi d'essere qui in un pomeriggio assolato e ventoso a Chennai nell'India del 2008 che si trasforma e non rimane più la stessa scrivo questo post come se incidessi una tacca sul legno di un albero o sul muro di una stanza. Per ricordarmi che ci sono stata e ho fatto una piccola cosa, molto umana e molto stupida. 
Comunque pare che qui in India diano l'accesso a banda larga aggratis a tutti, e che arriverà anche negli sperduti villaggi. Non proprio delle robe fighe come l'internettepointe insomma, ma quasi. Sul serio. Mica per dire. 

Etichette:

febbraio 27, 2008

La bauscia(*) dell'elefantino


Kanchipuram è un pieno d'antichi templi, eretti su pilastri scolpiti con le scene di Bhrama, Shiva e Krishna. Si cammina a piedi nudi nei templi e si rimane immersi in un pantheon di dei sconfinati con mille mani e troppe teste, e le immagini di lotte antiche e di guerre passate, di mantra andati e di preghiere possedute scorrono scolpite sulle alte colonne e basamenti, dove gli uomini d'altre ere hanno lasciato segni indelebili per raccontare leggende e rapporti con gli dei e i superuomini. E mentre si volge lo sguardo oltre il buio del tempio, si rimane accecati dalla luce del mezzodì che si riflette sull'acqua di un'enorme vasca per le abluzioni e una mucca scura passeggia ai bordi. Nel mezzo c'è un padiglione azzurro e giallo immerso nelle acque stagnanti e verdoline. Kanchipuram è anche la città dalle sete sgargianti oltre essere stata la capitale del regno Pallava. Poi si entra in un altro tempio dove ci stanno due elefanti che ci dicono essere madre e figlio, pittati a festa, con le cavigliere, e allungano la proboscide a chiedere rupie che metton via e ti ringranziano accarezzando il capo con la proboscite. Sono morbidi al tatto e hanno uno sguardo intenso e profondo. Ecco essere sbausciata dall'elefantino è un elemento che proprio mi mancava come esperienza. Per dire.
*bauscia=saliva (N.d.T) 

Etichette:

febbraio 18, 2008

La sindrome di Gauguin


Ve la spiego male. Io l'ho sempre definita la sindrome di Gauguin. E' quella sindrome che colpisce qualsiasi occidentale ipersensibile, borderliner e nostalgico e parlo di quello affetto da nostalgia di un'altra realtà perché quella in cui vive gli fa troppo schifo. E' la sindrome che colpisce quelli che pensano di poter cambiare il mondo ma non si può fare perché c'è troppa merda e non è rimasta nessuna speranza. Allora salgono sul primo battello, sul primo treno, sul primo aereo e dicono addio al mondo dove hanno sempre vissuto. Vanno lontano alla ricerca del paradiso perduto. E laggiù ritrovano una terra meravigliosa dove non esiste il freddo ed è quasi sempre in mezzo ai selvaggi. E cosa fanno? Costruiscono un mondo utopico pieno di falle: un mondo pieno di piante e di casette colorate raccogliendo attorno a loro altri fuggitivi. Un mondo perfetto in mezzo ai selvaggi guardando quest'ultimi come esseri meravigliosi ma lontani. Dopo un po' s'accorgono che il selvaggio ha una propria cultura e identità con cui non riescono a dialogare perché non l'hanno studiato impantanati come sono nella propria tragica cultura e finiscono per parlarne malissimo perché il selvaggio non li capisce e vive nel proprio mondo reale che è lontano e sconosciuto.
E' la realtà che circonda tutti gli ashram della terra, tutte le sette, tutti i guru, tutte le nuove religioni insomma è la sindrome di Gauguin: quella che ha colpito i Beatles, gli hippies e quelli della new-age, che poi in sintesi è la ricerca dei tropici perché son il simbolo del paradiso e quando uno li trova non sa più tornare indietro e rimane fisso lì perché non vi sono altri luoghi dove andare, perché non esistono luoghi perfetti perché il paradiso su questa terra se c'è l'umano non esiste e basta. Finisce che construisce la sua colonia perfetta e la colonia laggiù si chiama Pondicherry...Quando l'ho vista la prima volta quasi mi mettevo a ridere. Un paesino da cartolina svizzera per poi passare un ponte e si è di nuovo nell'India vera e puzzolente...Se proprio uno vuole venire in India e non ce la fa a vivere nel casino indiano cosa fa? se ne va a Pondicherry. E' per quelli che hanno la sindrome di Gauguin ed è perfetta. E' francese e perciò ha tutta l'allure di una cittadina provenzale, bianca con le bouganville rosse sui i vialetti puliti e intonsi, una pianta da castrum romano piena di piccoli ristorantini e bistrot dove si parla francese. Un posto fuori dal mondo.

Tutto ciò per dire che sono arrivati i miei amichetti Sergio, Giuseppe e Valentina a trovarmi così ci siamo prese una vacanzina e abbiamo fatto un po' di mare e un po' di turismo perché Vale in India non c'era mai stata. Siamo stati sulla spiaggia a guardare i tramonti e siamo andati anche ad Auroville. Il posto è molto grande. ed è per tutti quelli che soffrono della sindrome di Gauguin: è la città dell'utopia. La fratellanza e la solidarietà umana, l'amicizia e e l'amore, l'incontro di anime perse che ritrovano l'amornia e dell'armonia che tutti vorrebbero avere dentro di sè. E' il dramma della nostalgia del paradiso perduto, delle palme, della bellezza, dell'ozio e del pensiero, del lavoro come piacere della serenità e della tranquillità che la manualità offre.
In mezzo alla città (in realtà non è una città bensì tanti piccoli insediamenti con tutta una filosofia di rispetto della e per la natura, dove le strade sono di terra battuta e e si va in bicicletta oppure a piedi) stanno costruendo una cupola d'oro (si chiama Matrimandir) dove ci si siede al centro e si medita fino al raggiungimento dell'illuminazione.
Come sapete faccio la cuoca, non è che a manipolare il cibo si diventi particolarmente spirituali o si finisce a trattare di spiritualità. Il cibo è roba da gaudenti, da epicurei, da quelli che la vita è qui e adesso. E' pure vero che il cibo per una marea di gente può sublimarsi e diventa allora una via per scoprire altre culture, altre estetiche, altre vie. Ma non ci si stacca dalla pancia. Mentre ad Auroville bisogna proprio staccarsi dalla pancia.
Il progettone di Auroville è bello vero. Molti arrivano e ci rimangono perché in fondo quelli che arrivano qui sono tutti affetti dalla sopracitata sindrome. Poi va a capire cosa succede veramente e quanti soldi ci girano attorno ad Auroville per non parlare del famosissimo ashram di Shri Aurobindo a Pondicherry che pare stia inglobando tutta la cittadina a furia di comprare case e terreni. Insomma per tutti i viaggiatori della terra forse il punto d'incontro è Auroville. Forse perché è così utopico e ambizioso, è così pieno di speranza, di giovinezza, di ingenuità, di misticismo, che uno
rimane accecato e ci crede. E non so se dargli torto che a pensarci bene non si riesce a cambiare il vecchio mondo per milioni di cause esterne allora è bene andarsene e fondarne uno nuovo. Non si riesce a vivere senza la speranza di futuro. Altrimenti si finisce tra giorni interiori sempregrigi senza il sole. Non è neanche morire quella roba lì. Che sarebbe di sicuro meglio. E' vivere male senza saperlo. Mica per dire. Sul serio.

Etichette:

febbraio 01, 2008

Insomma

E' che la vita mi prende ma non mi porta via, mi fa rimanere spesso con il culo per terra. Vorrei scrivere tutti i giorni perché mi succedono mille cose tutti i giorni ma non ci riesco. Non ho tempo e a volte arrivo a casa che sono così stanca che non riesco a respirare e mentre mi faccio la doccia mi preparo per stare con mia figlia con il suo pancione e adesso la pancia si muove e chiaccheriamo del più e del meno...perché non ho neanche troppa voglia di parlare di cose serie. Che se solo mi guardo in giro ce ne sarebbero di cose serie di cui parlare. Sono in India e ci son giorni che non me ne accorgo se non fosse che prendo l'oto tutte le mattine. Ma è un periodo che non saprei definire se non dire che è un momento importante. Stiamo aspettando il cambiamento.
La gravidanza è forse l'unico momento visionario e totalmente avulso dalla realtà che una donna riesce ad avere nella propria esistenza. Dopo si sta incollate alla terra e anche se si è in alto mare si sta ancorate ai fondali bui senza riuscire più a volare per non dire fuggire. Dopo diventa tutto difficile per chi ha i figli. Dopo la famosa frase 'voglio avere un mio spazio' davvero non ha senso. Mi faccio delle grasse risate quando la sento. Quando cazzo una si prende i propri spazi con figli da crescere? Deve solo scappare di casa. Ma di donne che scappano di casa con i figli dentro casa io non ne ho conosciute mai. So che esistono, lo leggo sui giornali. Poi sì se volete parlarmi di quelle che ammazzano i figli...ma anche qui, se proprio si vuol finire sui giornali. Per dire.
Insomma questo è un post di giustifica(zione) d'assenza.

Etichette: