dicembre 31, 2006


Buon 2007
Arguto
Curioso
Ridente

dicembre 27, 2006

La ricetta della Piccolacuoca: il cappone ripieno


A leggere in giro l'italiano medio s'è rifugiato nella cucina regionale e ha mollato caviale e champagne. Posso dire: è vero. Nel menù natalizio ho messo il cappone ripieno e lo sto vendendo alla grande. Nella sua enorme e magnifica generosità la Piccolacuoca elargirà la sua ricetta del Cappone Ripieno. In sintesi: il cappone è un enorme pollo castrato messo all'ingrasso che viene ammazzato per farne un diversamente vivo durante le festività natalizie. ('Diversamente vivo' sta per morto, ed è l'ultima trovata del politikally kurrett, per non spaventare e desensibilizzare le nuove generazioni. Dire morto è brutto. Uno stronzo laggiù sta ridendo. Perché? Lasciamo perdere).
Partiamo dal ripieno. Io lo faccio con le castagne (200 gr.), la carne macinata di manzo (totale di gr. 200), il lardo (gr.100) e il pistacchio (gr.100), l'aglio (uno spicchio grande) e la carota (una grande), il sedano (due gambi) e la cipolla rossa (una grande), la salvia (una manciata) e il rosmarino (una manciata), il sale e il pepe. Bisogna mettere il tutto nel mixer, aggiungete un uovo e un bicchiere di latte e premete il tasto on. Non avete il mixer? tritate tutto a mano e poi mescolate bene i vari ingredienti. Fatto questo mistone, bisogna dissosare il cappone. E qui o avete dei bei coltelli affilati oppure vi attaccate a qualsiasi tram che passi vicino casa vostra. Non avete il tram? Nella vostra piccola cittadina, paesello, villuccia non c'è la rotaia del tram? cazzi vostri. Sfigati. V'attaccate a qualsiasi mezzo che vada abbastanza forte da dissossare voi, diversamente vivi, in modo diverso.
Tagliate la testa, le zampe e quindi in verticale la pancia e togliete le ossa del torace. Poi dissossate sovracoscie e fusi. Potete tenere le ossa per farne un brodo, che qui non si butta via niente. Le avete già buttate nel sacco grigio? brave teste di cazzo. Andiamo avanti che mi avete preso malissimo. Mettete tutto il mistone nella pancia del cappone e chiudete bene e legate con lo spago da cucina. Quello bianco. Non ce l'avete? Usate gli stuzzicadenti. Non li avete? Cosa c'è nella vostra cucina? Non avete coltelli che tagliano, non avete il filo, non avete gli stuzzicadenti...no dico: come state messi?
Proseguiamo, dopo la chiusura poggiate il cappone su una teglia da forno su cui avete messo della carta forno. Cospargete la bestia di sale grosso (non avete il sale grosso? sale fino va bene uguale) e versate un bicchiere di vino bianco. Infornate nel forno caldo a 200° e lasciate cuocere per 60 minuti.
Nel forno mettete una ciotola di acqua affinchè si crei abbastanza umidità in modo da non seccare il cappone. Quindi dopo averlo tolto dal forno lasciatelo raffreddare e tagliatelo con un coltello affilato a fette da 2 cm l'una. Un cappone sfama 4 persone grosse. Sei persone piccole...In genere viene servito con la polenta oppure con le patate schiacciate oppure con una purea (mele, patate, frutte varie). Vedete voi. Cosa c'è? con che vino servirlo? Un buon Barolo. Costa troppo? Un Merlot. Non vi piace? Un Cabernet franc. Un Pinot nero. Un Teroldego. Un Nero d'avola. Guardate lì: tutti i rossi esposti sul quel bancone. Cosa? Sì va bene anche il Tavernello. (Voglio andare via da qui!).
A me 'sta storia che arrivo in queste cucine senza il mixer, senza il sale grosso, senza i coltelli affilati lascia molto perplessa. Il coltello affilato è fondamentale per uno chef. Mica per dire. Sul serio.

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dicembre 25, 2006

He died


Non è una bella notizia. I don't feel good.

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dicembre 24, 2006

Buon Natale sotto il Prese-Pino


a tutti quelli che sono vicini al mio muscolo cardiaco, a quelli lontani che mi sono vicino comunque anche se stan lontani, a tutti quelli che lavorano questa sera e domani e che fanno il mio stesso mestiere...ma in particolare a mia figlia, a mio fratello e a mia 'sorella' acquisita, ai miei (che non mi leggono e che manco sanno cos'è un blog), alla mia famiglia reale e a quella virtuale, a tutte le mie amiche vere e ai miei amichetti sinceri

BUON NATALE

(Buon Natale e un grazie speciale a Massimo Giacon per l'immagine)

dicembre 17, 2006

La Storia del Santo Natale


La sera di un qualsiasi dicembre di un anno qualsiasi alle 1.30 di notte ad un angolo imprecisato di una fermata del mezzo la cheffa aspettava il suo ultimo tram. Lavorava fino a tardi e tra una cosa e l'altra se ne tornava a casa tardissimo (inspecie a dicembre che tutti stanno a festeggiare il Santo Natale). Il tram finalmente passò, la cheffa ci salì e stancamente arrancò alla panca di legno e ci si buttò a peso morto. Poi alzando lo sguardo mise a fuoco gli altri passeggeri: tre extracomunitari che parevano dei lavapiatti e in effetti lo erano (la città era piccola) che conoscevano la cheffa e che cordialmente la salutarono. Lei sorrise loro e passò oltre. Due ragazzi con l'ipod a tutto volume, una compagnia mista di studenti e una donna di colore con tacco a spillo di legno e calzettoni neri riversa sui sedili di legno accanto alla cheffa chiaramente in coma. La cheffa si mise le cuffie che non voleva sentire nessuno e alzò a tutto volume la propria colonna sonora. Ma il tram non partì. Il tramviere si affacciò e disse: Non posso partire, sto chiamando l'ambulanza.
Sconcerto di tutti. La cheffa agognava il suo letto e la sua casa e chiese infastidita: Come mai?

Tramviere: Quella donna (indica Taccodilegno riversa sul sedile accanto alla cheffa) pare morta e non posso partire... Immane disappunto di tutti passaggeri che guardarono con stizza taccodilegno che beatamente ronfava. Uno dei due ragazzi con l'ipod le si avvicinò, la scosse dolcemente, nulla. Taccodilegno stava immobile. Si volse verso gli altri e domandò quasi speranzoso:
'E' morta?'
La cheffa osservò l'impercettibile sali e scendi dei polmoni e rispose: 'No, è in coma sfatta!'

L'altro ragazzo si avvicinò e fece lo stesso tentando di svegliarla. Man mano si diede un via ad un via vai dove tutti i passeggeri toccarono e spinserono chi più dolcemente chi più aggressivamente Taccodilegno, che per dovere di cronaca non diede segno di vita. Immobile. In coma.
La cheffa chiese:
'Ma lasciarla in pace?' e rivolgendosi al tramviere 'mi scusi ma partire no?!'
'Signora non posso'

Cheffa stupefatta 'Perché no?'
'Ma magari sta male!
'
La cheffa orripilata 'E' ubriaca fradicia, sta dormendo, non sta morendo'
I ragazzi scoppiano a ridere, e qui tra i passeggeri e il tramviere inizia una lunga discussione e disquisizione sullo stato di salute di Taccodilegno. L'ambulanza non arrivava. Passavano i minuti, oramai s'era giunti alla pratica mezzora. Eppure tra passeggeri s'era instaurata un'aria conviviale e salottiera, mancavano un paio di bicchieri e alcune tazze da tè, ma l'atmosfera era quella, S'era seduti a fare conversazione sulla notte, sul perché Taccodilegno s'è ubriacata e sulla sua travagliata e ovvia tragica esistenza. I due ragazzi con l'ipod, due sensibiloni, avevano già una trama pronta: era stata lasciata dal suo grande ammmmore, s'era incamminata per le vie della città fermandosi a ogni bar a bere ma la cheffa fece notare che andare in giro per la città con il tacco di legno non era proprio il massimo del podismo peripatetico e che oltre a bere questa magari s'era calata qualcosaltro, perché da vedersi Taccodilegno pareva oltre che ubriaca strafatta.
Ridendo e scherzando perché la cheffa a quell'ora non ci riusciva a incazzarsi e quindi l'aveva presa sul ridere chiese provocatoriamente:
'Ma spostarla da questa panca a quella?' e indicò quella sotto la pensilina.
Tramviere sconcertato da tanta cattiveria: 'Ma non si può fare!'

'Come no? guardi qui ci sono un sacco di baldi giovani, che ne dite?' la cheffa volse lo sguardo verso gli altri. Tutti si misero a ridere 'Ma no adesso arriva l'ambulanza, ma no dai poverina...'
'Poverina?!' la cheffa inorridita da tanta bontà affermò 'Se stavamo sulla metropolitana di Tokyo veniva sbattuta fuori al capolinea, e finiva di dormire per terra!' proseguì allegramente 'che il ritardo non viene molto concepito'
'Sì certo signora ma qui siamo in Italia, mica siamo così cattivi qui...' Il tramviere osservò con innegabile logica da buonista.

Giunse alla fine l'ambulanza, il medico tentò vanamente di svegliarla, uno dei ragazzi prognosticò 'Adesso si sveglia e si incazza, questa si è fatta di ogni, si alza e ci spara addosso'.
Finalmente la misero su una lettiga e la portarono via. Taccodilegno non si svegliò se non la mattina all'ospedale e pensò d'essere in un incubo che lei era appena salita sul tram.
Il tram ripartì, e l'atmosfera continuò ad essere allegra. La cheffa chiaccherò con i due ragazzi ed entrambi sembrarono felici che quell'ora avesse acquistato un valore diverso. Un'altra avventura durata una notte. Ambedue provenivano dal Sud e dichiarano quanto fosse inumana e crudele la metropoli e la cheffa invece negò l'evidenza affermandone la bellezza
senza il controllo sociale della provincia.
'Sì però qui puoi anche morire e nessuno se ne accorgerebbe'. Dichiararono convinti.
Al che la cheffa osservò che il tramviere s'era comportato in modo degno e onesto, ed era stato doverosamente etico nel suo lavoro e giustamente preciso nel chiamare l'ambulanza che non poteva di certo lasciare taccodilegno riversa sulla panca.
Quando il giorno dopo la cheffa lesse di una donna morta trascinata per metri da un autobus perché l'autista stava chiaccherando al cellulare, si chiese quanti tra quelli che fanno bene il proprio lavoro debbano pagare l'ingiustizia di pochi balordi che non lo fanno.
E si può anche aprire un approfondito dibattito sulla rivoluzione dal basso e della volontà di riuscire a decidere in quanto poveri e sfigati individui ma sta di fatto che in quanto massa rimaniamo una banda di ignoranti e solo in quanto individui giriamo portandoci appresso un cervello.
Qui si spera che vi siano solo quattro generazioni affinché l'ignoranza s'ammorbidisca verso una maggiore conoscenza e chissà: si inizierà a vivere meglio?

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dicembre 12, 2006

La piccolacuoca fa la spiega di storia. Settima lezione: il medaglione Rossini


Proseguo il seminario di storia del cibo: le mie spieghe sono molto scientifiche e vi pregherei di non interrompermi.
1843. Parigi. Madama Pellissier guardò il maestro Rossini che si avviava grasso e giovale verso il calesse per andare all'appuntamento con suo grande amico chef Antoine che lavorava presso la famiglia Rotschild, e che quella sera sarebbe passato a trovare lo chef Gualtiero (un vero genio tra i fornelli ma una merda fuori dalla cucina) al Cafè Anglais. Una grande riunione famigliare.
Il maestro Rossini oramai a 51 anni era diventato intimo di tutti i grandi chef della capitale francese, chiaccherava da maestro con loro, consigliava fornitori, inventava ricette su ricette, e si districava nel mondo della restaurazione con affascinante abilità da bon vivant e molti lo avvicinavano per chiedergli consiglio che egli generosamente elargiva e finiva per essere consulente e promotore. Gli chef della capitale lo adoravano e ovunque lui andasse tutti gli mettevano a disposizione la propria cucina. In villa a Passy era un continuo dare feste e cene e lo sapeva solo Madame Pellissier come facessero ad andare avanti, 'ché i denari per quanto il maestro Rossini rimanesse ricchissimo cominciavano a scarseggiare, perchè erano anni che non lavorava. S'era ritirato per il suo male oscuro dal lontano 1830 e aveva cambiato dall'oggi al domani mestiere. Così, senza dare spiegazioni. Il suo nuovo mestiere era fare il gourmet. E come aveva adorato la musica così ora adorava il cibo e la stessa passione che aveva messo sul palcoscenico addobbato la riversava sulla tavola imbandita. Madame Pellissier sorrise pensando che almeno il vantaggio stava nell'aver smesso con donne e con giochi d'azzardo. Una vera star della tavola dopo essere stata la star dei teatri di tutt'Europa.

Davanti al Cafè Anglais il maestro Rossini e lo chef Antoine si abbracciarono dandosi gran botte sulla schiena felici di rivedersi dopo tanto e si avviarono stile compagni d'asilo verso la cucina dove li aspettava trepidante e felice come una Pasqua lo chef Gualtiero (un genio tra i fornelli ma una merda fuori dalle cucine) che quasi s'inchinò di fronte ai due ridenti e schiamazzanti compagni di bagordi, onorato di tanta famosa presenza. E come sempre finirono per parlare di cibo e cucina e di nuove ricette. Il maestro Rossini spiegò cosa aveva in mente, che erano giorni che ci stava pensando.
"Voglio il filetto tagliato a mo' di medaglione, non enorme, massimo dev'essere di 150 gr., alto però, piccolo e alto. Poi dovrebbe essere accompagnato da un ottimo fegato d'oca e un sventagliata di tartufo nero quello di Norcia. Guardate me lo sono fatto mandare dal mio amico Giannino di Pesaro..." Tutto contento mostrò ai due chef il tartufo profumatissimo nero e bitorzoluto giunto da così lontano, e si piegarono all'unisono ad annusare la ventata tartufante. Sorrisero soddisfatti con le narici tappate da tanto profumo.
Lo chef Gualtiero
(un genio tra i fornelli ma una merda fuori dalle cucine) mostrò il filetto al maestro Rossini, ne iniziò una lunga disquisizione sul taglio. Poi passarono ai vari fegati d'oca e scelsero quallo più alto e più rosa. Dopo varie prove di cottura misero a punto la ricetta. Discussero animatamente se collocare o meno il crostino di pane. Lo chef Antoine lo impose dichiarando che conoscendo i suoi clienti il crostino ci andava, che almeno non si prendevano a casaccio il pane mangiandolo con il tartufo, insomma la sequenza di gusti ci doveva essere e che il suddetto crostino doveva essere posto tra il filetto e il fegato in modo da impregnarsi dei succhi e degli odori di entrambi. Il maestro Rossini si trovò pienamente d'accordo afermando che bisognava insegnare a cibarsi in modo corretto e si misero all'opera per il piatto finale. Provarono e riprovarono la demi-glasse finché non si arrivò alla giusta consistenza. Il piatto doveva essere di ceramica bianca grande con il filo d'oro ai bordi, in mezzo il filetto di 150 gr. infarinato appena scottato da entrambi i lati in una padella con poco burro dove prima era stato passato il fegato d'oca, poi vi si doveva poggiare sopra la fetta di crostino caldo tostato più piccola del filetto, quindi il fegato d'oca alto quanto il filetto scottato all'inizio, si bagnava il tutto con la demi-glasse, che era il sughetto delle varie cotture tirato qualche minuto, e quindi sopra quattro o cinque fette sottili di tartufo nero di Norcia.
Il maestro Rossini, lo chef Antoine e lo chef Gualtiero (un genio tra i fornelli ma una merda fuori dalle cucine) sghignazzarono felici alla fine del loro lavoro.
'Come lo guarniamo?' chiese il maestro Rossini osservando il piatto finito con aria lievemente perefzionista.
'Non bastano le fette di tartufo?' si chiesero silenziosamente tutti osservando sorpresi il maestro Rossini.
'Mettiamoci quattro o cinque rametti di timo, fa colore! così è troppo scuro, troppi violincelli' A volte il maestro Rossini se ne usciva con queste strane metafore e lo chef Antoine gli sorrise benevolo e facendogli l'occhiolino sussurrò:
'Non si scorda mai il primo amore eh?!'
Fu così che nella cucina s'ebbe l'aiuto di un Grande della Musica il cui passaggio non fu vano.

p.s. Si ringrazia vivamente Filippo Facci per l'abilità scrittoria nonchè la capacità analitica su Rossini e si prega di leggerne l'articolo apparso qui

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dicembre 11, 2006


Era ora! Bisogna prendere la sbornia.
Si beva a viva forza: è morto Mirsilo.
(Alceo di Mitilene V sec. a.C.)

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dicembre 02, 2006

Trussardi alla Scala


Io per piacere e per lavoro vado sempre a mangiare dai miei colleghi. Così vedo se io sono capace o no di fare il mio mestiere, meglio se sono capace di fare meglio o peggio senza avere le possibilità economiche date a i grandi chef. Assicuro che non mi smuove il senso della competizione nè il senso di rivalsa e tanto meno il senso di invidia. In genere voglio che i miei colleghi bravi riescano a darmi nuove idee (perché io copio come tutti e tutti copiano me. Chiariamo questo punto: copiare non è male, è mettersi al passo con i tempi, è scambio sottile di idee, è comprendere che nessun essere umano ha la scienza infusa, lo studio è essenziale e cogliere il lavoro degli altri è formativo. Chi dice che non copia/imita gli altri è a) un coglione, b) un millantatore, c) un idiota...scegliete voi la categoria che preferite. Comunque sempre uno a cui madre natura è stata avara di neuroni).
L'altro giorno in pieni crisi mistica insieme a un mio amico abbiamo fatto il giro del centro di Milano (che è veramente piccolo a pensarci bene) e siamo entrati in un posto che tutti dicono essere bello e buono (per tutti si intendono i media del settore).
Vi voglio raccontare della mia magika esperienza da Trussardi dove lavora lo chef Andrea Berton. Lo scrivono in grande e pare sia importante. Lo chef non lo conosco. Ma dicono che sia giovane e forte e bravo. Ha lavorato da Marchesi, da Ducasse. Ha fatto il tragitto giusto e si è mosso bene per diventare tecnicamente bravo.
Entriamo dentro al primo piano (ammezzato) del palazzo di fianco alla Scala. Il luogo è rosso. Sul sito lo definiscono rosso 'Milano' (?). Pavimento, pareti e poltroncine (che qui non ci sono sedie ma poltrone di pelle rosse: brutte) è tutto rosso Milano (?). Non è il rosso Ferrari (intendo la macchina Ferrari che è non come il rosso Milano (?), sì lo so avrei dovuto dire della bandiera komunista) quel rosso vivo, sanguinante, preciso e pieno, quel rosso vitale e brillante. No: è il rosso carminio scuro, signorile e deprimente. Il rosso Milano (?), appunto. A parte le tovaglie di lino (in pieno inverno io non vado con la camicetta di lino in giro signoramia che non le dico i raffreddori che mi prendo. Se si vuole vestire la tavola il magikomondomoda abbia l'accortezza di seguire le stagioni che signoramia sono diventate due: estate e inverno, caldo e freddo, signoramia, lino quando fa caldo e cotone pesante quando fa freddo), il posto dà la sensazione di signorile investimento atto a far sì che tutti coloro che vi passano stiano nel loro ambient di ricchezza sedimentata da generazioni (eppure i segni di nuovo ricco ci sono un po' ovunque). Le finestre sono bellissime e danno sulla Scala e su Palazzo Marino. I sistemi di illuminazioni un filo cannati. Il sole entrava dalle finestre e le luci soffuse dalle lampade accese non aiutava ma sprecava il rosso Milano (?) delle pareti.
Faccio il solito esperimento che faccio sempre per vedere se il posto è internescional oppure sta nelbucodiculodiddio.
Chiedo: possiamo sederci e prendere due dolci?
Il caposala di fronte alla richiesta inaudita di due poveri pezzenti/dementi, rimane stordito da tanto ardimento e risponde: vado a chiedere in cucina!
Ecco a me sovviene sempre che per quanto la cucina possa avere potere, il padrone di quel ristorante lì, non è lo chef. Qui il finanziatore si chiama Trussardi (famiglia, eredi Trussardi, vedete voi, sempre magikomondomoda è). Da che mondo è mondo nello sfigato mondo della ristorazione qualsiasi cliente che entri nel ristorante lo si fa sedere e se anche e solo volesse pane e vino, lo si serve in modo gentile e si bestemmia altrove (perché devi sempre pensare che non sai mai chi è e cosa potrebbe portare la prossima volta, semina vento raccoglierai tempesta sic).
Il caposala ritorna con fronte corrugata e dice: sarebbe non troppo opportuno perchè noi non facciamo pagare il coperto e il servizio e allora dovremmo caricarvi di queste due voci e allora sarebbe forse che...
Ora io mi trovo da Trussardi mica al Suk, vogliamo parlare di soldi? sono in pieno centro di Milano LO SO CHE SIETE CARI! Vi assicuro che l'ho fatta al Ritz di Londra 'sta storia e ho chiesto al maitre 'I would like to eat a dessert, is it possible?' e lui mi ha diretto -sul serio- un sorriso seriosissimo come per dirmi masseisscema? sei al Ritz baby e qui puoi chiedere quello che vuoi e noi te lo diamo! e mi ha risposto 'Madam, definitely yes'. Definitely è come dire ovvvvvviamente e mi ha commossa quel definitely che ovvio ero scema stavo Ritz mica in un posto di sfigati! Ho finito per spendere una follia perché dopo il dolce ho preso una minestra e poi un'insalata e poi un pesce e non finivo più di ordinare e tutti erano carini e gentili e profescional...e il Ritz di Londra lo consiglio a tuttitutti: ai barboni, ai nuovi ricchi, ai maleducati, ai vogliomanonposso, agli arrampicatori sociali, ai dementi, agli storditi, e ai poveri di spirito. E' un posto educativo. Come il collegio. Poi farò un post sul Ritz di Parigi...ahimè!
Allora dico: e se ci sediamo e prendiamo anche l'antipasto diventa un problema?
Il caposala contrito: ah no va bene prego si accomodi...ma mica me l'ha detto in modo gentile, ma in modo da sufficienza suprema: se proprio devi fai te, e io lo so che voleva dirmi: povera stronza fai come cazzo vuoi! glielo si leggeva negli occhi ed era comparsa anche la scritta luminosa sopra la sua testolina.
Ci sediamo e ci portano subito (sembrano tutti profescional calati nel ruolo, ma poi fanno comunella e gruppettini a chiaccherare ma potrei dirvi che è tipico di tutti i ristoranti italiani tuttituttitutti che i camerieri chiaccherano con i propri colleghi davanti ai clienti, mai visto all'estero 'sta roba) acqua e pani che devi scegliere quello che ti piace e poi non ti si avvicinano più e li devi chiamare per fartene dare altro ché mica sono fette belle grandi. No. Sono panini microscopici, piccolissimi roba da mezzo boccone. Tristissima la quantità del pane offerto in questi luoghi spirituali. Rivoglio l'ostia. Giuro che ci scriverò un post a parte sulla mania del magikomondomoda di NON dare il pane GRANDE, e la mania di dare paninini piccolininini da braccine focomeliche. Il pane...dico il pane mica ho chiesto le brioches! Farina, acqua e lievito e braccia sante che sappiano impastare la cosa denominata pane.
Il menù è simpaticamente ripetitivo: spuma e mosaico buttati lì a caso (spuma scritto per ben due volte che ho capito l'uso del sifone, magari usiamo l'aspirapolvere per togliere la polvere delle parole, e lo stesso dicasi per mosaico ripetuto in contesti diversi, capisco il mosaico che ce l'hanno anche nell'ascensore che magari è venuto bene sul menù per fare pandan con l'ambient, va a capire la ggente che cosa ne fa dell'italiano e dei refusi: scrivere bene un menù è davvero mestiere difficile. Farò dei corsi un giorno quando sarò vecchia: me lo sento!)
Comunque si finisce per ordinare una crema di cachi (dessert) e un fegato di oca (antipasto). Ho speso 28 euris per l'antipasto e 14 euris per il dolce, 9 euris per un sublime vino dolce: Roan 2003. Quest'ultimo ottimo investimento.
Non ho nessuna intenzione di giudicare come ho mangiato. Nè la costruzione del piatto.
Affermo: lo chef NON è un artista. La cucina è una forma d'artigianato. Impermanente. Come lo sono le impressioni. Labili. La cucina creativa ha la difficoltà estrema di bilanciare sostanza e forma. Ma se si riesce nell'impresa allora si ha un grande prodotto. L'obbiettivo di qualsiasi grande chef (quello VERAMENTE grande): volare basso. Sempre. Si rischia altrimenti di scorreggiare nella farina. E di conseguenza si alzano gran polveroni. Inconsistenti. Come l'aria.
Il resto? ai posteri l'ardua sentenza (dicevano e sottoscrivo).
C'a che vado a fare la massaia e pulisco la cacca che ho fatto fuori dal vaso.
'Ché io li conosco i miei grandi colleghi: s'adombrano e piangono e hanno le crisi di identità se il loro ego non viene lisciato abbastanza. La kritika kostruttiva mica la capiscono. Soprattutto NON capiscono che non sono artisti, essere artisti è costruire opere che oltrepassino i confini delle epoche e delle generazioni e sappiano colpire l'animo umano oltre le mode e scolpiscono in modo imprenscindibile la nostra essenza, cogliendola in quel senso di estraneamento che alcuni definiscono 'l'eterno'. Uffa hai voglia a parlare e scrivere questa cosa. Mica la capiscono, sembra quasi che soffrano di un complesso di inferiorità. La noia, signoramia, la noia a ripetere sempre le stesse cose.
Trussardi alla Scala Ristorante, Piazza della Scala 5, 20121 Milano, tel.02-80688201

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